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PDF. Brown - Psicologia sociale dei gruppi

Riassunto del libro
Corso

Psicologia sociale (M-PSI/05)

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Anno accademico: 2021/2022
AutoreBrown
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Università degli Studi di Torino

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Anteprima del testo

Psicologia Sociale dei Gruppi

Dinamiche Intragruppo e Intergruppi Rupert Brown

Riassunto Capitolo 1 – La realtà dei gruppi Fin dall'inizio del secolo, si è animatamente discusso non soltanto sull'essenza dei gruppi, ma anche sull'eventualità stessa che i gruppi esistano. Questo capitolo riprende in esame tali discussioni allo scopo di chiarire alcune tematiche ricorrenti nel corso del libro.

  1. Il concetto di gruppo L'esame sulle dinamiche di gruppo rivela immediatamente l'esistenza di un'ampia diversità nei significati associati al termine gruppo: - Destino comune → per alcuni teorici il fattore critico per la costituzione di un gruppo è l'esperienza di un destino comune (es. gli ebrei nell'Europa nazista costituivano un gruppo per via del loro destino comune di stigmatizzazione, imprigionamento e sterminio.). - Struttura sociale → per altri pensatori, l'elemento chiave è l'esistenza di una certa struttura sociale formale o implicita, di solito sotto forma di relazioni di status e di ruolo (es. è possibile considerare la famiglia come gruppo perché i suoi membri hanno fra loro delle relazioni ben definite: genitore, fratello, figlio ecc.). - Individui in interazione faccia a faccia → queste relazioni di struttura hanno luogo per via di una caratteristica dei gruppi ancor più elementare, il fatto che siano composti da individui in interazione faccia a faccia.

Il secondo e il terzo tipo di definizioni sembrano in verità applicabili solo ai piccoli gruppi e sembrerebbero escludere le categorie sociali su larga scala come i gruppi etnici, la classe sociale o la nazionalità.

"Un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono sé stessi come membri della medesima categoria sociale (es. "Io sono ebreo"). È difficile immaginare un gruppo i cui membri non si riconoscano mentalmente, almeno in qualche momento, come parte di esso." [Definizione di Turner].

La definizione di Turner è forse un po' troppo soggettiva: non sembra catturare una caratteristica importante dei gruppi, e cioè il fatto che la loro esistenza è normalmente nota alle altre persone. Per questa ragione, propongo di estendere la definizione di Turner e di suggerire che...

"Un gruppo esiste quando due o più individui definiscono sé stessi come membri e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno un'altra persona."

  1. La relazione tra l'individuo e il gruppo Allport ha definito la natura della relazione dell'individuo col gruppo come il problema dei problemi della psicologia sociale. C'è qualcosa nei gruppi di più della somma degli individui che li compongono? Allport non aveva alcun dubbio sulla risposta a questa domanda:"Non esiste una psicologia dei gruppi che non sia fondamentalmente ed interamente una psicologia degli individui." Allport era un individualista; riteneva che i fenomeni di gruppo potessero essere ricondotti in definitiva a processi psicologici individuali. Tuttavia, questa visione riduzionista non è rimasta completamente incontestata. Iniziando con Mead, e seguendo Sherif, Asch e Lewin, questi autori hanno posto in rilievo il carattere reale e distintivo dei gruppi sociali, ritenendoli dotati di proprietà uniche che emergono dalla rete di

relazioni tra i singoli membri (es. Il composto H2O non rappresenta la semplice aggregazione dei suoi elementi costitutivi ma è determinato in modo cruciale dalla loro combinazione - concetto di “mente di gruppo”). Confermando le parole di Sherif, un pioniere della psicologia dei gruppi, la posizione adottata in questo volume è la seguente:

"L'essere membro di un gruppo e comportarsi come tale ha conseguenze psicologiche che sussistono anche quando gli altri membri non sono immediatamente presenti."

  1. Il continuum interpersonale-gruppo Cosa significa affermare che una persona si comporta come membro di un gruppo? Tajfel sottolinea l'esigenza di distinguere il comportamento interpersonale dal comportamento in situazioni di gruppo. Egli ha suggerito tre criteri che ci aiutano a porre questa distinzione: - Presenza o assenza di almeno due categorie sociali chiaramente identificabili (es. bianco o nero, uomo o donna, lavoratore e datore di lavoro ecc.). - Grado di variabilità – basso o alto – negli atteggiamenti o nel comportamento delle persone che si trovano all'interno di ciascun gruppo → il comportamento intergruppi è normalmente omogeneo e uniforme mentre il comportamento interpersonale è caratterizzato dalla gamma normale di differenze individuali. - Grado di variabilità negli atteggiamenti e nel comportamento di un individuo nei confronti dei membri degli altri gruppi → la stessa persona si comporta in modo simile nei confronti di numerose altre persone differenti, oppure mostra una risposta differenziata? Tajfel colloca tutto il comportamento sociale lungo un continuum definito dalle polarità: ... Intergruppi → l'interazione è considerata determinata dall'appartenenza ai vari gruppi e dalle relazioni tra loro. ... Interpersonale → dipende in misura superiore dagli individui, dalle caratteristiche personali e dalle relazioni interpersonali.

es. la scoperta che l'amante era in procinto di lasciare il proprio gruppo per unirsi a un altro gruppo che combatteva per ideali diversi, trasforma la relazione tra i due da un rapporto di amore a una relazione fra membri di gruppi politici rivali, un rapporto interpersonale in una relazione fra gruppi.

Quali sono i fattori sottostanti a questo processo di "spostamento"? Turner ha suggerito che tale processo è governato da cambiamenti nel funzionamento del concetto di sé, cambiamenti, cioè, nel modo in cui le persone vedono sé stesse. Secondo Turner il concetto di se è formato da due elementi: /// L'identità personale → si riferisce ad autodescrizioni sulla base di caratteristiche individuali (es. "sono un tipo di persona amichevole" | "Sono un amante del blues"). /// L'identità sociale → denota descrizioni in termini di appartenenza a categorie (es. "Sono una donna"/"Sono un tifoso del Liverpool"). La motivazione sottostante a questa uniformità, suggerisce Turner, è che nel definirsi come membri di un gruppo particolare, gli individui stabiliscono un'associazione tra sé stessi e i vari attributi e le norme comuni che sperimentano nel far parte di quel gruppo. In tal modo, non solo gli individui vedono i membri di altri gruppi in modi stereotipati, ma vedono anche sé stessi come esseri relativamente intercambiabili con gli altri nel proprio gruppo. Di conseguenza i loro atteggiamenti e le loro azioni assumono l'uniformità che è così caratteristica delle situazioni di gruppo.

Prima di concludere vorrei fare tre osservazioni ulteriori: - Ciò che distingue il comportamento interpersonale dal comportamento di gruppo non è principalmente il numero di persone coinvolte. Prendete, per esempio, un'interazione tra due

4 Deindividuazione e comportamento nei gruppi In che modo dobbiamo considerare questi avvenimenti di Bristol e altri simili? Perché le folle si comportano in questo modo? Si ipotizzò in un primo momento che fosse il contesto della folla a far regredire le persone a modalità di condotta primitive e istintive. Secondo Le Bon, l'anonimato, il contagio e la suggestionabilità, fattori che riteneva endemici delle folle, determinano nei singoli una perdita di razionalità e di identità, creando invece una "mente di gruppo". L'influsso di questa mente collettiva, scatena gli istinti distruttivi degli individui dando luogo ad una violenza sfrenata e ad un comportamento irrazionale. Malgrado l'ipotesi di Lebon sia stata largamente rifiutata, le sue speculazioni sugli effetti dell'anonimato nella folla si sono dimostrate di un'influenza enorme per i tentativi successivi di spiegare il comportamento collettivo: in particolare per la teoria della deindividuazione di Zimbardo. Zimbardo prese spunto da molte idee di Lebon formalizzandola all'interno di un modello contenente numerose variabili di entrata (input), alcuni cambiamenti psicologici intervenienti e il comportamento risultante. Per i nostri scopi, i tre input più importanti sono: - L'anonimato. - La responsabilità diffusa. - L'ampiezza del gruppo.

Secondo Zimbardo, essere parte di un ampio gruppo fornisce agli individui un velo di anonimato e diffonde la responsabilità personale per le conseguenze delle proprie azioni. L'autore ritiene che ciò conduca ad una perdita di identità e ad una minore preoccupazione per la valutazione sociale (deindividuazione). Il comportamento in uscita (output) risultante è in tal modo impulsivo, irrazionale e regressivo poiché non è soggetto all'abituale controllo sociale personale. Il punto principale di questa teoria è quella di suggerire che il comportamento degli individui subisce un processo degenerativo in situazioni di folla. Alcune ricerche hanno ottenuto risultati che confermano la teoria di Zimbardo: - Watson → ha riscontrato una correlazione evidente tra le culture che adottano pratiche molto aggressive nei confronti dei loro nemici e quelle i cui membri hanno l'usanza di modificare il proprio aspetto fisico prima delle battaglie. Delle 23 colture prese in esame, 13 vennero valutate come molto aggressive e, di queste, 12 adottavano vari rituali per camuffare il proprio aspetto prima delle battaglie. - Jaffe e Yinon → gli autori hanno semplicemente posto a confronto l'intensità media delle scariche somministrate (ripresa dell'esperimento di Zimbardo) da singoli individui con quelle fornite da gruppi composti da 3 persone. Come previsto, coloro che parteciparono come membri di un gruppo somministrarono regolarmente scariche molto più forti di coloro che erano da soli. - Siegel → ha registrato gli scambi che avvenivano fra gruppi di tre persone nella discussione di alcuni scenari che richiedevano una scelta. Gli scambi potevano essere diretti o realizzarsi attraverso il computer, anonimamente. Nei gruppi elettronici le osservazioni reciproche fra i partecipanti erano meno frequenti, ma contenevano un numero maggiore di commenti disinibiti come bestemmie, epiteti e insulti. In contrasto con i dati di Siegel, Spears non ha riscontrato alcuna prova che l'individuazione produca un aumento delle valutazioni interpersonali negative o una crescita delle osservazioni disinibite. Non pare quindi affatto che la comunicazione elettronica eserciti un effetto di flaming generalizzato.

Malgrado la presenza di questi elementi a sostegno della teoria, sta diventando sempre più evidente che Zimbardo pone un'enfasi eccessiva sulle conseguenze negative dell'appartenenza al gruppo (es. perdita dell'identità e comportamento asociale). Johnson e Downing, ad esempio, trovarono che la deindividuazione può dar luogo ad un aumento di comportamento prosociale. I loro risultati sono importanti perché dimostrano, in modo abbastanza conclusivo, che il far parte di un gruppo non porta necessariamente le persone a comportarsi in modo inutilmente distruttivo come Zimbardo sembra sostenere. In realtà, il loro comportamento dipende molto dalle norme rilevanti di ogni situazione particolare. Diener sostiene che l'elemento chiave nel comportamento della folla è la perdita di autoconsapevolezza. Diener suggerisce che i fattori presenti in alcune situazioni di folla - per esempio l'anonimato, l'aumento di attivazione, la coesione - portano le persone a dirigere la propria attenzione all'esterno e corrispondentemente meno su sé stessi e sugli standard personali. Il risultato, secondo Diener, è che il comportamento delle persone diventa meno soggetto ad una regolazione interna (vale a dire determinato da valori e abitudini preesistenti) e più influenzato da indizi e norme immediate e presenti nell'ambiente. Queste, naturalmente, non determinano sempre azioni violente ma cambiano da situazione a situazione. La spiegazione degli avvenimenti di Bristol fornita da Diener, allora, sarebbe che con l'aumento delle dimensioni e dell'eccitazione della folla, le persone diventavano meno consapevoli di sé stesse e di conseguenza più facilmente influenzabili dagli stimoli presenti nell'ambiente (es. individui che lanciavano pietre). L'idea che, aumentando di dimensione, la folla perda la capacità di prestare attenzione alla sua condotta trova sostegno nell'analisi condotta da Mullen. Secondo Mullen, più ampia è la folla più essa tende a perdere la consapevolezza di sé e più è disposta, nel contesto situazionale ad esempio del linciaggio, a compiere atrocità.

4 Il comportamento della folla nella prospettiva intergruppi Un aspetto che accomuna l'autoconsapevolezza di Diener con la deindividuazione formulata inizialmente da Zimbardo, è l'enfasi posta sulla tendenza del comportamento a divenire privo di regole in situazioni di folla. Per Diener, come per Zimbardo, l'essere in una folla produce generalmente una perdita di identità e di conseguenza una perdita di autocontrollo. Ma accade sempre che gli individui perdano la propria identità e l'autocontrollo quando si trovano in una folla? È possibile individuare numerosi aspetti della rivolta di Bristol che non rientrano facilmente in tale concettualizzazione: - Rammentiamo che il comportamento della folla, malgrado il carattere violento, in realtà era abbastanza controllato. Era diretto a bersagli specifici (poliziotti e i loro veicoli) e ne evitava altri (es. negozi e case del posto). Se le persone stavano semplicemente reagendo a caratteristiche degli stimoli, perché non hanno cacciato i poliziotti oltre le immediate vicinanze e diffuso la violenza in altre parti della città? - I rivoltosi e la polizia si sono comportati in modo diverso. Tuttavia, anche i poliziotti costituivano una folla! Se è vero che in una folla le persone perdono la consapevolezza di sé e reagiscono nei confronti di stimoli immediati, è necessario sapere perché i poliziotti prestano attenzione a stimoli diversi da quelli dei rivoltosi. - Non è assolutamente possibile sostenere che la folla fosse anonima in questa circostanza. La gran parte dei partecipanti si conosceva, almeno di vista. Coloro che presero parte alla rivolta, invece di perdere la propria identità, sembrano mostrare in modo piuttosto unanime un nuovo senso d'orgoglio per la loro comunità generato dalle gesta compiute.

Tutte queste osservazioni sono state fatte da Reicher che sottolinea due caratteristiche di molte situazioni di folla:

comportamento dei membri del gruppo e il carattere stereotipo delle reazioni dei membri nei confronti dell'esterno. Alla base di questo continuum vi è un passaggio del funzionamento psicologico da processi di tipo personale a processi connessi all'identità sociale 4. La folla è una forma elementare di gruppo. Alcuni hanno suggerito che in una folla gli individui diventano deindividuati e di conseguenza il loro comportamento tende ad assumere un carattere antisociale, irragionevole e incontrollato. Tuttavia, uno studio accurato della folla e di situazioni simili mostra che il comportamento degli individui può divenire talvolta più prosociale e che spesso è rivolto a bersagli specifici (suggerendo l'esistenza di una tendenza a seguire uno scopo determinato). 5. Nella maggior parte dei casi il comportamento della folla coinvolge più di un gruppo. Una volta riconosciuto questo livello intergruppo, è possibile concepire il comportamento nelle folle come soggetto a regole, e caratterizzato da un cambiamento anziché da una perdita d'identità. In questo cambiamento le identità sociali degli individui come membri di un gruppo diventano più importanti della loro identità personale individuale.

Capitolo 2 – Processi elementari nei gruppi In questo capitolo e in quello successivo prenderò in esame alcune caratteristiche fondamentali della vita nei gruppi. Per comodità di esposizione, in questo capitolo l'attenzione sarà volta piuttosto ai processi mentre nel terzo capitolo si sposterà verso i fattori più strutturali, anche se tale distinzione non è molto netta. Inizialmente esamino ciò che accade quando diventiamo membri di un gruppo. Il secondo paragrafo affronta l'interdipendenza nei gruppi, ovverosia come siamo legati ad altri in termini di risultati e gli effetti dei diversi tipi di legami. Il terzo argomento prevede la distinzione tra comportamenti centrati sul compito e comportamenti socio-emozionali. Nel quarto paragrafo considero il tema della coesione del gruppo esaminandone la natura, l'origine e taluni effetti. Nell'ultimo paragrafo, ritorno al punto di partenza analizzando il problema dell'ingresso nel gruppo, questa volta in relazione all'acquisizione e allo sviluppo di norme sociali.

  1. diventare membro di un gruppo L'esperienza dell'ingresso nel gruppo, benché sia spesso emozionante, può comportare un certo grado di tensione. Perché ciò accade? Potremmo forse essere tentati di chiamare semplicemente queste reazioni come paura dell'ignoto, ma un esame più dettagliato di ciò che accade quando gli individui entrano a far parte dei gruppi mostra che sono all'opera anche altri processi. Questi sono stati discussi in modo abbastanza particolareggiato da Levine e Moreland, i quali hanno proposto un modello temporale della socializzazione al gruppo che copre l'intero processo a partire dall'analisi iniziale del gruppo da parte degli individui e il divenire membri sino alla loro uscita finale. Una caratteristica importante del loro modello è il rilievo attribuito alla reciprocità dell'individuo e del gruppo: non è solo l'individuo che subisce dei cambiamenti entrando a far parte del gruppo; anche il gruppo deve adattarsi ai suoi membri nuovi. In questa parte affronto tre dei numerosi fenomeni discussi da Levine e Moreland: - La ricognizione iniziale (1). - I cambiamenti nel concetto di sé quando si entra a far parte di un gruppo (1). - Il processo di iniziazione al gruppo (1).

1 La ricognizione iniziale del gruppo Prima di entrare nel gruppo e diventarne membro si passa per una fase importante: il processo di ricognizione o se si preferisce il compito di investigare i diversi gruppi dei quali si potrebbe entrare a far parte e di fare una scelta. Ovviamente, in alcuni casi, non siamo noi a decidere l'appartenenza (es. genere, classe sociale ecc.). Nondimeno, nel corso della nostra esistenza, ci troviamo a scegliere di appartenere o meno a numerosi altri gruppi; ci possiamo chiedere allora quali fattori governino la

nostra decisione di perlustrare e successivamente di tentare di entrare a far parte di associazioni volontarie come queste. Levine e Moreland suggeriscono una risposta: la scelta del gruppo al quale appartenere avviene secondo un criterio di massimizzazione dei profitti e di minimizzazione dei costi (si rifà alla teoria dello scambio sociale). Ne deriva, secondo questo approccio, che le attività di perlustrazione iniziale saranno prevalentemente incentrate sul compito di soppesare ciò che i gruppi possono fare per noi e ciò che si attendono da noi in cambio (attività analoga per il reclutamento da parte del gruppo). Ma quali sono i fattori che determinano la percezione individuale dei costi e dei benefici? Gli autori hanno ipotizzato che una fonte importante di informazioni pertinente sia costituita dalle esperienze personali precedenti con altri gruppi. Se queste sono state favorevoli, si determinerà la tendenza a cercare di appartenere a gruppi che prevediamo possano fornirci le stesse esperienze premianti. Vi è la tendenza diffusa a sviluppare una visione un po' enfatica delle attrattive del gruppo prima di entrarvi. D'altro canto, chi si occupa del reclutamento di nuovi membri nel gruppo dovrebbe evitare di rappresentarle in modo troppo roseo agli occhi dei candidati. Il rischio implicito nel farlo è che le nuove leve sviluppino un rigetto nei confronti del gruppo una volta che abbiano sperimentato la gamma completa degli aspetti positivi e negativi della vita di gruppo. Al contrario, esistono prove che le imprese abituate a dare un'immagine realistica di sé nelle procedure di selezione del personale riescono meglio di altre a conservare i propri membri. Oltre all'aspetto indagato da Levine e Moreland, secondo Hogg un altro fattore rilevante che orienta la scelta delle persone verso i gruppi differenti è il grado in cui esse si percepiscono simili e in linea con il membro ideale del gruppo. A suo avviso, le identità sociali delle persone, sia che derivino da precedenti appartenenze di gruppo o più in generale dai processi di socializzazione sociali e culturali, devono bene integrarsi a quella che verrà probabilmente fornita dal nuovo gruppo.

1 I cambiamenti nel concetto di sé Come abbiamo avuto modo di vedere, la nostra identità sociale è strettamente legata alle nostre appartenenze ai gruppi. In tal modo, una delle prime conseguenze del diventare membri di un gruppo è un cambiamento nel modo in cui vediamo noi stessi. L'inserimento in un gruppo richiede spesso da parte nostra una ridefinizione di ciò che siamo la quale, a sua volta, può avere delle implicazioni per la nostra autostima. Kuhn e McPartland progettarono uno strumento semplice per esplorare queste definizioni di sé: ai soggetti viene semplicemente chiesto di rivolgere a sé stessi la domanda "Chi sono io?", e di fornire fino ad un massimo di 20 risposte. Gli autori trovarono che nella maggior parte dei casi la risposta conteneva molti riferimenti gruppali (es. "Sono uno studente"). Una conferma della validità dello strumento viene dal fatto che i membri dichiarati di gruppi religiosi tenessero a fare riferimento al gruppo nelle loro risposte più di coloro che non facevano parte di un gruppo religioso.

Fino a questo punto ho discusso i cambiamenti nel concetto di sé che derivano dal fatto di appartenere ad un gruppo semplicemente come cambiamenti nel modo in cui definiamo o descriviamo noi stessi. Ma diventare membri di un gruppo può avere anche delle conseguenze per la nostra autovalutazione, per la nostra autostima. Se interiorizziamo le nostre appartenenza ai gruppi come parte del concetto che abbiamo di noi stessi ne deriva che qualsiasi prestigio e valore associato a quei gruppi avrà delle implicazioni per le opinioni che abbiamo circa il nostro valore: la positività del concetto che abbiamo di noi stessi può essere influenzata dalla valutazione sociale dei gruppi ai quali apparteniamo.

1 L'iniziazione del gruppo Nell'ultima parte abbiamo rivolto la nostra attenzione ai cambiamenti che avvengono negli individui quando diventano membri di un gruppo. Come risponde il resto del gruppo a questi nuovi venuti?

In questo modo, un insieme di passeggeri che viaggiano su un aereo difficilmente costituisce un gruppo perché il grado di interdipendenza reciproca è minimo. Tuttavia, la comparsa di dirottatori armati di bombe li trasforma da passeggeri in ostaggi accomunati ormai da un medesimo destino. L'importanza dell'interdipendenza del destino, ovvero il trovarsi sulla stessa barca, fu dimostrata sperimentalmente da Rabbie e Horwitz che cercarono di stabilire quali fossero le condizioni minime per la formazione di un gruppo. Rabbie e Horwtiz conclusero che la sola classificazione in sé stessa non era sufficiente per formare un gruppo e per influenzare i giudizi degli individui secondo i criteri di gruppo. Ciò che sembrò necessario per la formazione del gruppo era un qualche senso elementare di interdipendenza. MA ATTENZIONE!! Tale conclusione si rivelò prematura. Nelle condizioni appropriate, è sufficiente il solo fatto di essere arbitrariamente categorizzati in un gruppo anziché in un altro per produrre chiare forme di comportamento di gruppo.

2 Interdipendenza del compito Nel gruppo il compito è tale che i risultati di ciascun membro hanno implicazioni per i risultati dei suoi compagni. Queste implicazioni possono essere: - Positive → il successo di un individuo facilita direttamente il successo degli altri o, in casi estremi, è effettivamente necessario affinché anche gli altri abbiano successo (es. la bravura di un giocatore ha conseguenze positive per gli altri giocatori della stessa squadra) - Negative/competizione → il successo di un individuo è l'insuccesso di un altro. (es. la prassi presente in alcune organizzazioni di fornire incentivi finanziari basati sulla prestazione individuale in rapporto ad altri individui).

Che prove esistono per dimostrare l'importanza dell'interdipendenza del compito nel determinare i processi di gruppo e quali sono esattamente le sue conseguenze? Per moltissimi gruppi il fondamento vero della loro esistenza è costituito esplicitamente da qualche scopo o obiettivo comune. Che effetto ha il tipo di definizione data allo scopo sui processi di gruppo successivi? Deutsch ipotizzò che in situazioni di interdipendenza positiva si crea una motivazione a cooperare, ad aiutare gli altri e a considerarli piacevoli e una forte spinta del gruppo nel suo insieme verso il suo scopo. In situazioni di interdipendenza negativa, invece, si determinerà una motivazione a competere, la tendenza a considerare gli altri meno piacevoli e un indebolimento della forza complessiva del gruppo a raggiungere uno scopo. Le positive ricadute sul piano motivazionale e prestazionale innescate dalla cooperazione hanno rilevanti implicazioni per la formazione. Esistono prove secondo cui l'organizzazione degli studenti in gruppi cooperativi di apprendimento migliora consistentemente i risultati. Con questi sistemi si cerca di solito di dare al gruppo nel suo insieme la responsabilità di realizzare un modulo di lavoro o di far sì che ogni membro del gruppo raggiunga un certo livello di prestazione. Si cerca anche di fare in modo di concedere gli incentivi (valutazione e riconoscimento) a tutto il gruppo. così facendo si aumenta di solito la capacità di lavoro degli studenti e la loro disponibilità a farsi carico dei compagni meno abili.

  1. Esecuzione del compito e mantenimento delle relazioni Sebbene Deutsch e altri ricercatori nella tradizione lewiniana abbiano dimostrato in modo convincente l'importanza degli obiettivi del compito nel determinare i processi di gruppo successivi in termini generali, solo in pochi casi si è fatta luce sul modo in cui il compito era effettivamente eseguito. Questa lacuna fu colmata da un altro gruppo di ricercatori, al cui centro vi fu la figura di Bales.

3 L'analisi dei processi di interazione Il punto di partenza di Bales è l'idea che la raison d'etre di ogni gruppo è la realizzazione di un determinato compito. In questo modo, per Bales qualsiasi attività nel gruppo è vista in definitiva

come diretta verso questo fine. Con questo punto di vista fondamentale, Bales prosegue facendo numerose osservazioni importanti: - La prima e più importante è la distinzione tra comportamento diretto al compito o strumentale e comportamento socio emozionale, o espressivo. Bales crede che le azioni degli individui in un gruppo siano indirizzate verso l'obiettivo del gruppo; tuttavia, nell'ambito di questa attività strumentale possono sorgere determinati problemi che minacciano la stabilità del gruppo. Gli individui possono trovarsi in disaccordo tra di loro sul modo in cui il gruppo dovrebbe affrontare il compito immediato; la discussione può portare alla luce sistemi di valore conflittuali. Questi fattori tendono a generare tensioni che, suggerisce Bales, possono ostacolare il progresso del gruppo verso il suo obiettivo. Per questa ragione, entreranno in gioco processi di neutralizzazione per affrontare tali tensioni. Bales utilizza una metafora catartica per descrivere questo aspetto; suggerisce che le tensioni presenti nel gruppo devono essere sciolte per mezzo di attività espressive. Questi processi si concentrano sulle relazioni interpersonali e si rivelano attraverso comportamenti che sono una diretta manifestazione delle emozioni dell'individuo o che riguardano in qualche modo i sentimenti degli altri (es. esplosioni di riso o di collera, espressioni di comprensione o rifiuto per un altro individuo ecc.). Poiché questi comportamenti socio emozionali dipendono essenzialmente dalle attività dirette al compito, è più probabile che assumano una forma positiva o rinforzante anziché negativa o inibitoria. - Un secondo aspetto fondamentale deriva dal presupposto che i gruppi abbiano una tendenza naturale verso l'equilibrio. Ogni azione tende a produrre una reazione. Domande tenderanno a provocare delle risposte o dei tentativi di risposte. Le attività strumentali devono essere equilibrate da attività espressive, e così via. Questo principio omeostatico è strettamente legato alla concezione di Bales del modo in cui i gruppi affrontano il loro compito. Questo processo seguirebbe tre fasi: /// Orientamento → il gruppo deve orientarsi verso il problema che sta affrontando e prendere conoscenza di tutte le informazioni rilevanti. Di solito questo comporta un incremento della comunicazione e dello scambio di opinioni. /// Valutazione → le idee differenti devono essere valutate per mettere il gruppo in grado di prendere qualche decisione. /// Controlla → quando si avvicinerà il momento della decisione, i membri del gruppo inizieranno ad esercitare un controllo reciproco affinché la decisione sia formulata e applicata con successo. Di solito, a questo stadio c'è anche la necessità di aumentare l'attività socio-emozionale per ridurre qualsiasi tensione prodotta dagli stadi precedente.

Sulla base di queste idee, Bales progettò uno schema di codifica per l'osservazione e l'analisi dell'interazione di gruppo (IPA - analisi dei processi di interazione). L'interazione nel gruppo viene spezzata in una serie di 'atti' microscopici. Ciò che costituisce esattamente un atto è piuttosto ambiguo nel sistema di codifica (es. una frase in un'espressione verbale, delle vocalizzazioni non linguistiche e comportamenti non verbali come le espressioni facciali, i gesti o le posizioni bel corpo ecc.). Un atto è essenzialmente la più piccola parte di comportamento significativa e identificabile che un osservatore può percepire. Ciascun atto viene classificato dall' osservatore in una delle 12 categorie mutualmente esclusive (es. dimostra solidarietà, mostra antagonismo, allena le tensioni, dimostra tensione ecc), assieme all'indicazione di colui che ha compiuto l'atto e il suo previsto destinatario. Al termine del periodo di osservazione è possibile contare il numero di comportamenti codificati in ciascuna categoria e fornire un profilo: - Dell'interazione di gruppo nell'insieme (in termini di percentuali di tempo occupato dalle diverse categorie di comportamento). - Degli individui nel gruppo.

producono risentimento e disintegrazione. Dunque sembra emergere una conclusione netta: il successo genera coesione mentre il fallimento abbassa il morale. Possiamo chiederci però se sia sempre così, perché l'esperienza ci dice il contrario; è il caso, ad esempio, di quelle squadre che in seguito ad una serie di sconfitte riescono comunque a mantenere la propria coesione. Come può essere spiegato questo processo di mantenimento della coesione a fronte di fallimenti ripetuti? Secondo Turner, il fenomeno avrebbe a che vedere con la presenza di una forte identificazione col gruppo e di un'intensa partecipazione ad esso, promossa dalla scelta iniziale di appartenervi. Richiamandosi a un concetto della teoria della dissonanza cognitiva, Turner sostiene che, quando ci si sente responsabili del proprio comportamento - ad esempio, quando si è deliberatamente scelto di appartenere a un gruppo

  • se il comportamento adottato si traduce in conseguenze negative (quando il gruppo va male) può accadere che si giustifichino queste conseguenze negative accrescendo l'identificazione col gruppo, secondo un ragionamento di questo tipo:"Ho ho scelto di entrare in questo gruppo perché mi piaceva. Il gruppo non ha raggiunto i suoi obiettivi. Mi chiedo allora perché mi sono unita a questo gruppo se non è così buono come sembrava. Se l'ho fatto è perché doveva essere più importante per me di quanto pensassi in origine".

L'attenzione posta dalla maggioranza dei lavori sulla coesione, sulla somiglianza interpersonale e sugli effetti dell'interdipendenza ha il suo fondamento in una visione del gruppo essenzialmente funzionalista. L'attaccamento al gruppo dipende dunque dalla capacità di fatturare certi bisogni (di affiliazione o di raggiungimento di obiettivi).

4 Conseguenze della coesione La coesione rappresenta un elemento positivo perché se i membri del gruppo si piacciono di più, sono più felici, e se sono più felici tendono a produrre di più. In realtà, come spesso accade, le cose non sono così semplici. Innanzitutto, la relazione tra coesione e prestazione, pur essendo statisticamente significativa, non è così marcata e varia grandemente a seconda dei contesti di gruppo; inoltre, non è detto che la direzione di causalità vada sempre dalla coesione alla prestazione. Argomentazioni forse più incisive contro l'idea di un legame diretto fra coesione e prestazione sono state fornite proprio dai primi ricercatori sperimentali che si sono occupati della questione. Secondo questi autori l'effetto primario della coesione è di accrescere l'adesione alle norme prevalenti nel gruppo più che di agire sulla prestazione in sé. Se le norme presenti favoriscono un aumento di produttività è possibile che la coesione accresca la prestazione; se, però, le norme inibiscono la produttività accade che l'accresciuta coesione porti a una riduzione della prestazione. Gli eventuali effetti della coesione sulla prestazione, quindi, sono mediati dalla presenza di norme che accrescono la produttività (anche se in alcuni studi, questo legame fra coesione e influenza normativa non è stato sempre riscontrato).

  1. L'acquisizione e lo sviluppo di norme di gruppo I gruppi utilizzano modalità diverse di vedere il mondo, possiedono valori e atteggiamenti differenti, e, in ultima analisi, si comportano in modo abbastanza unico. Alla base di tutte queste diversità ci sono sistemi di norme, sistemi che possono essere individuati in ogni gruppo umano immaginabile - dalla compagnia di amici più sconclusionata alla più strutturata delle istituzioni. Che cos'è esattamente una norma? Parafrasando Sherif possiamo dire che una norma è una scala di valori che definisce una gamma di atteggiamenti e comportamenti accettabili (e inaccettabili) per i membri di un'unità sociale. Le norme specificano, in maniera più o meno dettagliata, determinate regole concernenti il modo in cui gli individui dovrebbero comportarsi e costituiscono così la base di aspettative reciproche tra i membri del gruppo (es. vivace anticonformismo dei Punk; tradizionalismo dell'entourage reale ad Ascot).

Nella parte iniziale di questo capitolo abbiamo visto ciò che accade quando gli individui si inseriscono in un gruppo per la prima volta. Riprendo qui questo argomento per illustrare il modo in cui le norme di gruppo vengono incorporate dei nuovi membri. Osservazioni dettagliate sul processo di inserimento nel gruppo hanno mostrato come gli individui giungono ad incorporare nel proprio comportamento uno standard di gruppo preesistente, e questo sovviene generalmente in seguito ad un tempo trascorso cercando di scoprire quali sono le regole di base appropriate prima di entrare completamente a far parte del gruppo.

5 Funzioni individuali e sociali delle norme Sembrano esserci pochi dubbi, allora, che le norme di gruppo, siano esse tradizioni stabilite da tempo o semplicemente modelli di attività sviluppati in modo informale, hanno un significato notevole per i membri del gruppo. Quali funzioni svolgono queste norme e perché sono così fondamentali per comprendere il comportamento del gruppo? Possiamo rispondere a questa domanda in due modi: - Considerando quali funzioni svolgono per l'individuo → le norme fungono da strutture di riferimento attraverso le quali viene interpretato il mondo. Possono essere viste come sistemi di costrutti, ai quali sono associati i valori, che portano ordine e prevedibilità a tutto ciò che circonda un individuo. Le norme sono utili specialmente in situazioni nuove o ambigue dove possono funzionare da suggerimenti sul comportamento appropriato da adottare (si può far riferimento alla cautela dell'osservazione di qual è il comportamento più appropriato da adottare prima di entrare completamente far parte del gruppo). L'idea delle norme come punti di riferimento che guidano l'individuo attraverso un territorio poco conosciuto fu illustrato in modo eccellente da Sheriff con il proprio esperimento sull'effetto autocinetico: l'illusione ottica derivante dall'effetto autocinetico può essere sperimentata fissando un puntino luminoso in una stanza completamente buia; molto presto la luce sembra muoversi irregolarmente anche se la fonte stessa rimane ferma. Sherif mostrò questa illusione a ciascuno dei suoi soggetti singolarmente e domandò loro di stimare verbalmente l'ampiezza dell'oscillazione in ciascuna occasione. Sherif condusse allora esattamente lo stesso esperimento con gruppi di 2/3 soggetti e fece una scoperta straordinaria: le stime del movimento fatte dai soggetti convergevano rapidamente finché non davano delle risposte quasi indistinguibili l'una dall'altra. In altri termini, avevano sviluppato una norma di gruppo primitiva con la funzione di costringere i loro giudizi all'interno di limiti piuttosto ristretti. Da notare che l'influenza di questa norma continuava ad essere presente anche quando venivano sottoposti di nuovo alla prova da soli, poiché le loro stime successive deviavano molto poco dal valore stabilito precedentemente. - Valutando il loro significato sociale dalla prospettiva del gruppo stesso → come primo aspetto, le norme contribuiscono a regolare l'esistenza sociale e di conseguenza aiutano a coordinare le attività dei membri del gruppo. In secondo luogo, le norme sono strettamente legate agli scopi del gruppo (importanza cruciale); quando un gruppo sviluppa uno scopo chiaramente definito emergeranno inevitabilmente delle norme che facilitano i comportamenti in linea con l'obiettivo e scoraggiano quelli che vanno contro al suo raggiungimento. In terzo luogo, le norme possono servire per migliorare o mantenere l'identità del gruppo. questo accade in modo particolare con le norme riguardanti gli stili particolari di abbigliamento o forme di espressione linguistica o culturale. L'abbigliamento non ortodosso, i tipi di pettinatura o i dialetti caratteristici, pur non avendo di per sé alcuna rilevanza funzionale, contribuiscono a delimitare i membri del gruppo dai non-membri e a definire così quell'identità di gruppo in modo più chiaro.

  1. La coesione di un gruppo è stata tradizionalmente definita come sommatoria dell'attenzione interpersonale fra i membri. Recentemente, però, ha preso piede un modello che sottolinea maggiormente nella coesione il legame con l'idea o con il prototipo del gruppo più ancora che nei confronti di singoli individui.
  2. Si è osservato che la coesione può essere associata a fattori quali la prossimità fisica, la frequenza di interazione, la somiglianza fra i membri del gruppo e, soprattutto, la fedeltà agli obiettivi del gruppo. Il conflitto fra gruppi tende ad accrescere la coesione all'interno dei gruppi in competizione, in particolare quella del gruppo vincente. Il fallimento, peraltro, non conduce sempre a una riduzione della coesione, specialmente se i membri hanno deciso consapevolmente di far parte del gruppo.
  3. Tutti i gruppi sviluppano sistemi di norme che definiscono i limiti dei comportamenti accettabili e inaccettabili. Le norme aiutano l'individuo a strutturare e a prevedere il proprio contesto e forniscono uno strumento per mezzo del quale può essere regolato il comportamento nel gruppo. Inoltre facilitano il raggiungimento degli scopi del gruppo ed esprimono aspetti dell'identità del gruppo.

Capitolo 3 - Aspetti strutturali del gruppo Il termine "processi" indica movimento e cambiamento nel corso del tempo e, senza dubbio, le relazioni di gruppo sono soggette a frequenti mutamenti. Questo non dovrebbe però impedirci di vedere che ci sono degli aspetti della vita del gruppo che mostrano una certa stabilità. I più importanti sono quelli che riflettono la struttura del gruppo. Questo capitolo prende in esame tali aspetti strutturali. Le prime due parti del capitolo discutono la differenziazione di ruolo e di status. Dati tali argomenti, è naturale, perciò, che una parte di questo capitolo sia dedicata soprattutto a una discussione sulla leadership. L'ultima parte si occupa delle strutture di comunicazione e di come queste influenzano la prestazione e il morale del gruppo.

  1. La differenziazione di ruolo Nel secondo capitolo abbiamo visto quanto fossero importanti le norme nel produrre aspettative sul comportamento appropriato che i membri del gruppo dovrebbero adottare. Spesso troviamo che a individui o posizioni particolari all'interno del gruppo sono associate aspettative diverse: questo è ciò che si intende per differenziazione di ruolo ed è una caratteristica della vita del gruppo estremamente comune. La differenziazione di ruoli è stata osservata da Sherif in gruppi di ragazzi in un campo estivo: dopo solamente due o tre giorni di interazione i gruppi di estranei avevano sviluppato una struttura definita nell'ambito della quale ai ragazzi erano assegnati compiti differenti. Uno dei primissimi studi in tale direzione fu quellO di Slater: utilizzando il sistema IPA di Bales, egli osservò che la distinzione principale di Bales tra comportamenti strumentali Ed espressivi potrebbe riflettersi in due ruoli fondamentali in un gruppo di soluzione dei problemi: - Lo specialista nel compito (l'individuo delle idee) → Slater osservò che gli uomini delle idee trascorrevano più tempo degli uomini più simpatici in attività dirette al compito (categorie 4-9 IPA), ma corrispondentemente di meno in comportamenti socioemozionali positivi (categorie 1-3 IPA). - Lo specialista socioemozionale (l'individuo che ottiene più simpatie).

Alcuni degli esempi più evidenti della differenziazione di ruolo si ritrovano nel più importante di tutti i piccoli gruppi, la famiglia: quasi sempre è possibile identificare una serie di posizioni stabilite formalmente (es. genitore, bambino, caregiver), come pure alcuni ruoli con funzioni più chiaramente sociali (es. quelle associate al sostegno emotivo o alla disciplina)

Parsons e Bales ipotizzarono che le famiglie più efficienti e coese, data l'incompatibilità delle attività dirette al compito e alla relazione, fossero quelle nelle quali è presente una chiara distinzione di ruoli fra i diversi membri e conclusero che tale specializzazione avrebbe luogo universalmente attraverso una distribuzione dei ruoli secondo le linee di genere, lasciando ai padri il ruolo strumentale e alle madri le funzioni espressive. Benché sia indubbio che una certa differenziazione di ruolo abbia luogo nelle famiglie, l'idea che questa debba necessariamente riguardare le sole figure genitoriali è piuttosto discutibile, come è discutibile l'idea che i diversi ruoli devono essere distribuiti fra i diversi membri della famiglia. Una ragione in particolare conferma ciò: - Lo stesso individuo può talvolta adempiere ad entrambi i ruoli (attività è compito). Inoltre, entrambi i genitori potrebbero essere ugualmente strumentali nelle faccende familiari, ma forse in ambiti diversi (es. giardino e cucina).

Ci sono prove che un modello di differenziazione troppo rigido possa rappresentare un serio limite nei gruppi di lavoro, così come nella famiglia, perché può impedire l'adattamento alle nuove situazioni (es. l'equipaggio di un aereo passeggeri aveva adottato un sistema così rigido di procedure di controllo prima del volo da non accorgersi della presenza sulle ali di un grosso blocco di ghiaccio. Non aveva quindi attivato i sistemi antighiaccio del velivolo che si era schiantatosubito dopo il decollo).

All'inizio di questo paragrafo abbiamo osservato che la differenziazione di ruolo è una caratteristica diffusa della vita del gruppo. Perché? - Una ragione evidente è che i ruoli implicano una divisione del lavoro tra i membri del gruppo, che può spesso agevolare il conseguimento dello scopo del gruppo, un fattore motivante importante come abbiamo visto nel capitolo precedente. Ciò significa anche che la scelta dei ruoli può essere specifica alla situazione poiché gli scopi del gruppo cambiano (es. una bambina a scuola potrebbe svolgere un ruolo di importanza secondaria nel contesto accademico della classe ma emergere come una figura chiave in una squadra sportiva scolastica). - Una seconda funzione dei ruoli che ricorda quella svolta dai sistemi normativi, è di contribuire a portare ordine nell'esistenza del gruppo. Come le norme, i ruoli implicano delle aspettative sul comportamento proprio ed altrui, e fanno sì che la vita del gruppo divenga più prevedibile e di conseguenza più disciplinata. La comparsa di ruoli relativi al compito e socioemozionali, nella misura in cui avviene è importante a questo riguardo perché i membri del gruppo apprendono velocemente a chi guardare e a chi rispondere in determinati punti dell'esistenza del gruppo o in situazioni particolari - Infine, i ruoli formano anche una parte della definizione che diamo di noi nell'ambito del gruppo, della consapevolezza di ciò che siamo. Avere un ruolo chiaramente definito contribuisce fondamentalmente alla nostra identità (ciò diventa evidente quando il ruolo di un individuo è ambiguo, sovraccarico o in conflitto con altri ruoli: se una qualsiasi di queste condizioni diventa troppo acuta, sia che questo avvenga in una grande organizzazione o nel microcontesto della famiglia, possono derivare dei problemi per l'individuo e per il gruppo stesso | in sintesi, il fatto di non sapere chi siamo e che cosa gli altri si aspettano da noi comporta conseguenze negative).

  1. La differenziazione di status Non tutti i ruoli assunti dai diversi membri del gruppo sono egualmente valutati e neppure implicano lo stesso potere di influenza e controllo sugli altri. Ogni membro è rispettato o preferito in misura diversa. Strettamente legata al modello dei ruoli in un gruppo è l'esistenza di una gerarchia di status.

anche il numero 2 per attività). [Ci sono segnali positivi, peraltro, che la differenza di status dettata dal sesso di una persona oggi sta riducendosi rispetto al passato].

  1. La valutazione di sé stessi attraverso il confronto sociale 3 La teoria e il confronto sociale Nel capitolo precedente ho descritto il modo in cui le norme sociali potrebbero soddisfare esigenze sia sociali sia individuali. Anche le differenze di status possono fare questo. Non solo provvedono a funzioni utili per il gruppo nell'insieme, ma, comportandosi come una specie di unità di misura sociale, aiutano anche l'individuo nel compito cruciale di valutare sé stesso.. se i ruoli ci permettono di conoscere chi siamo, la nostra posizione di status ci aiuta a sapere quanto siamo capaci.

3 La teoria del confronto sociale Festinger ha proposito una teoria per spiegare come si realizza la valutazione di sé e cosa accade quando essa è ottenuta (teoria del confronto sociale). Festinger afferma che esiste una motivazione umana universale che ci spinge a valutare le nostre opinioni e capacità. Il fondamento di questa audace supposizione è la convinzione che la vita sarebbe difficile, se non impossibile, se non avessimo un modo per valutare correttamente le nostre capacità (es. pensate a quello che succederebbe se non conoscessimo le nostre capacità reali di guida | è improbabile che uno che si considera analfabeta in matematica scelga la professione di contabile). Come otteniamo questa conoscenza di noi stessi? Il metodo più ovvio è attendibile è quello di trovare strumenti oggettivi di valutazione. Tuttavia, spesso tali misure oggettive non sono così prontamente disponibili. In situazioni come questa, secondo Festinger, ricorriamo all'aiuto di altri per ottenere informazioni sulle nostre capacità: confrontando me stesso con altri posso capire qualcosa. I confronti sociali sono importanti anche se è possibile una valutazione oggettiva (es. scopro di poter correre 1500 metri in 6 minuti. Questo significa che sono un corridore veloce o lento? Senza una certa conoscenza della velocità a cui possono correre gli altri, una domanda simile ha poco significato). Per ottenere una valutazione realistica delle nostre capacità, abbiamo bisogno di scegliere individui che ci possano fornire la maggiore - e più attendibile - quantità di informazioni. Secondo Festinger un confronto fra individui troppo diversi per capacità non fornisce molte informazioni. Per questa ragione tendiamo a scegliere per un confronto persone che ci sono simili. I risultati di altri individui che hanno capacità simili alle nostre funzionano da guida per i nostri probabili risultati. Ecco perché la differenziazione di status nel gruppo è così importante. Lo è poiché fornisce ai membri del gruppo una classificazione approssimativa delle competenze su vari attributi, permettendo loro di scegliere degli 'altri' confrontabili ai fini della valutazione di sé. Se l'ipotesi della somiglianza di Festinger viene esaminato attentamente, sembra abbastanza circolare. Lo scopo complessivo dell'attività di confronto sociale è quello di scoprire le capacità di un altro individuo in modo tale da poter fare delle inferenze sulle nostre capacità. Ma se sappiamo già che hanno delle capacità simili alle nostre, perché dovremmo avere bisogno di fare il confronto? Quello che facciamo veramente nel cercare "altri simili" per scopi di confronto è cercare altri che siano simili a noi in attributi che sono in relazione con la capacità che ci interessa. Osservando la prestazione in qualche attività particolare di altri di status simile, siamo in grado di dedurre la nostra competenza in quello stesso ambito. Questi confronti su attributi comportano anche alcuni svantaggi in quanto possono fuorviare le persone rispetto ai risultati che possono raggiungere (es. in seguito ad un prestazione con un relativo guadagno, i soggetti dell'esperimento mostravano di percepire il genere come variabile pertinente anche se teoricamente, secondo il principio dell'equità della retribuzione in rapporto al lavoro, non avrebbe dovuto essere così. Le implicazioni pratiche di una percezione inadeguata come quella sono evidenti nel mondo del lavoro, dove alcune imprese continuano a corrispondere retribuzioni

inferiori ai propri dipendenti donne spesso cercando di giustificare questa discriminazione limitandosi ad etichettare diversamente uno stesso lavoro quando viene svolto da uomini o donne nel tentativo di creare la percezione illusoria di una differenza di valore).

3 Con chi confrontarci? Finora abbiamo esaminato i confronti sociali come se fossero dei comportamenti affettivamente neutri, nel corso dei quali gli individui traggono inferenze pure sulle proprie capacità. Naturalmente, le cose non sono proprio così semplici. Qualsiasi inferenza sulle nostre capacità ha conseguenze per la nostra autostima; è preferibile avere un'autostima elevata che non averne affatto, ciò potrebbe suggerire che siamo motivati ad evitare i confronti con coloro che sono migliori di noi poiché l'esito di quei confronti è probabilmente spiacevole. Tuttavia, nemmeno il confronto con coloro che occupano posizioni inferiori nel gruppo è privo di problemi: c'è sempre il rischio che l'esito di un confronto simile possa essere sfavorevole per noi, cosa che produrrebbe un'inferenza di inferiorità molto più evidente rispetto allo stesso risultato negativo con una persona di status elevato. | Infine, come ha fatto notare Festinger, in numerose culture occidentali si attribuisce un valore alla prestazione migliore che spingerà gli individui a cercare di superare i risultati degli altri. La conclusione che possiamo trarre da queste considerazioni, è che gli individui avranno la tendenza a scegliere come termine di confronto un individuo appena un po' migliore di loro.

Potrebbero esservi, però, altre circostanze nelle quali le persone preferiscono confrontarsi verso il basso. Una di queste si verifica nel momento in cui le persone si trovano in situazioni particolarmente negative. In questi casi è di un certo conforto sapere che ci sono persone che stanno anche peggio di noi. La motivazione principale di un simile confronto verso il basso è quella di proteggere un'autostima minacciata. Oltre al benessere, una variabile cruciale che consente di prevedere ancor di più l'effettuazione di confronti verso il basso è costituita dal controllo che le persone percepiscono di avere nelle diverse situazioni della vita (es. i soggetti che sentivano di avere maggior controllo sulla loro malattia erano meno propensi a sviluppare vissuti negativi di coloro che sentivano di avere scarso controllo).

Nonostante tutto, vi è la possibilità che anche in situazioni difficili possono essere promossi dei confronti verso l'alto. perché? Una ragione per cui le persone in situazioni difficili possono continuare a svolgere preferibilmente la loro attenzione verso l'alto invece che verso il basso è stata avanzata da Taylor e Lobel che hanno sostenuto che mentre i confronti verso il basso possono rafforzare il sé di persone che si sentono minacciate soltanto su un piano di superficie ("Almeno non altro non sono conciato così come loro"), i confronti verso l'alto possono dare speranze e prospettive di miglioramento ("Anch'io potrò essere come loro un giorno").

Per quanto la somiglianza possa essere importante nel determinare la scelta del confronto, ci sono occasioni in cui può essere ugualmente utile conoscere la gamma delle capacità nel gruppo. In particolare, esistono circostanze nelle quali l'ipotesi della somiglianza di Festinger fa sì che gli individui preferiscono avere informazioni su 'altri diversi'.

3 Confronto sociale e prestazione Un aspetto dei processi di confronto sociale che non abbiamo ancora esaminato è la loro conseguenza per la prestazione effettiva degli individui. Festinger fece al riguardo due previsioni: - Che gli individui avrebbero la tendenza a cercare di migliorare la loro prestazione, specialmente in rapporto a coloro che sono simili o immediatamente superiori a loro.

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PDF. Brown - Psicologia sociale dei gruppi

Corso: Psicologia sociale (M-PSI/05)

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Psicologia Sociale dei Gruppi
Dinamiche Intragruppo e Intergruppi
Rupert Brown
Riassunto
Capitolo 1 – La realtà dei gruppi
Fin dall'inizio del secolo, si è animatamente discusso non soltanto sull'essenza dei gruppi, ma anche
sull'eventualità stessa che i gruppi esistano. Questo capitolo riprende in esame tali discussioni allo
scopo di chiarire alcune tematiche ricorrenti nel corso del libro.
1. Il concetto di gruppo
L'esame sulle dinamiche di gruppo rivela immediatamente l'esistenza di un'ampia diversità nei
significati associati al termine gruppo:
Destino comune → per alcuni teorici il fattore critico per la costituzione di un gruppo è
l'esperienza di un destino comune (es. gli ebrei nell'Europa nazista costituivano un gruppo
per via del loro destino comune di stigmatizzazione, imprigionamento e sterminio.).
Struttura sociale → per altri pensatori, l'elemento chiave è l'esistenza di una certa struttura
sociale formale o implicita, di solito sotto forma di relazioni di status e di ruolo (es. è
possibile considerare la famiglia come gruppo perché i suoi membri hanno fra loro delle
relazioni ben definite: genitore, fratello, figlio ecc.).
Individui in interazione faccia a faccia → queste relazioni di struttura hanno luogo per via di
una caratteristica dei gruppi ancor più elementare, il fatto che siano composti da individui in
interazione faccia a faccia.
Il secondo e il terzo tipo di definizioni sembrano in verità applicabili solo ai piccoli gruppi e
sembrerebbero escludere le categorie sociali su larga scala come i gruppi etnici, la classe sociale o
la nazionalità.
"Un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono sé stessi come membri della medesima categoria sociale (es.
"Io sono ebreo"). È difficile immaginare un gruppo i cui membri non si riconoscano mentalmente, almeno in qualche
momento, come parte di esso." [Definizione di Turner].
La definizione di Turner è forse un po' troppo soggettiva: non sembra catturare una caratteristica
importante dei gruppi, e cioè il fatto che la loro esistenza è normalmente nota alle altre persone.
Per questa ragione, propongo di estendere la definizione di Turner e di suggerire che...
"Un gruppo esiste quando due o più individui definiscono sé stessi come membri e quando la sua esistenza è
riconosciuta da almeno un'altra persona."
2. La relazione tra l'individuo e il gruppo
Allport ha definito la natura della relazione dell'individuo col gruppo come il problema dei
problemi della psicologia sociale.
C'è qualcosa nei gruppi di più della somma degli individui che li compongono? Allport non aveva
alcun dubbio sulla risposta a questa domanda:"Non esiste una psicologia dei gruppi che non sia
fondamentalmente ed interamente una psicologia degli individui." Allport era un individualista;
riteneva che i fenomeni di gruppo potessero essere ricondotti in definitiva a processi psicologici
individuali.
Tuttavia, questa visione riduzionista non è rimasta completamente incontestata. Iniziando con
Mead, e seguendo Sherif, Asch e Lewin, questi autori hanno posto in rilievo il carattere reale e
distintivo dei gruppi sociali, ritenendoli dotati di proprietà uniche che emergono dalla rete di
Corso di Laurea Psico. Del lavoro e delle organizzazioni – 2020/2021 Lamberti Valerio
relazioni tra i singoli membri (es. Il composto H2O non rappresenta la semplice aggregazione dei
suoi elementi costitutivi ma è determinato in modo cruciale dalla loro combinazione - concetto di
“mente di gruppo”).
Confermando le parole di Sherif, un pioniere della psicologia dei gruppi, la posizione adottata in
questo volume è la seguente:
"L'essere membro di un gruppo e comportarsi come tale ha conseguenze psicologiche che sussistono anche quando gli
altri membri non sono immediatamente presenti."
3. Il continuum interpersonale-gruppo
Cosa significa affermare che una persona si comporta come membro di un gruppo? Tajfel sottolinea
l'esigenza di distinguere il comportamento interpersonale dal comportamento in situazioni di
gruppo. Egli ha suggerito tre criteri che ci aiutano a porre questa distinzione:
Presenza o assenza di almeno due categorie sociali chiaramente identificabili (es. bianco o
nero, uomo o donna, lavoratore e datore di lavoro ecc.).
Grado di variabilità – basso o alto – negli atteggiamenti o nel comportamento delle persone
che si trovano all'interno di ciascun gruppo → il comportamento intergruppi è normalmente
omogeneo e uniforme mentre il comportamento interpersonale è caratterizzato dalla gamma
normale di differenze individuali.
Grado di variabilità negli atteggiamenti e nel comportamento di un individuo nei confronti
dei membri degli altri gruppi → la stessa persona si comporta in modo simile nei confronti
di numerose altre persone differenti, oppure mostra una risposta differenziata? Tajfel colloca
tutto il comportamento sociale lungo un continuum definito dalle polarità:
... Intergruppi → l'interazione è considerata determinata dall'appartenenza ai vari
gruppi e dalle relazioni tra loro.
... Interpersonale → dipende in misura superiore dagli individui, dalle caratteristiche
personali e dalle relazioni interpersonali.
es. la scoperta che l'amante era in procinto di lasciare il proprio gruppo per unirsi a un altro gruppo
che combatteva per ideali diversi, trasforma la relazione tra i due da un rapporto di amore a una
relazione fra membri di gruppi politici rivali, un rapporto interpersonale in una relazione fra gruppi.
Quali sono i fattori sottostanti a questo processo di "spostamento"? Turner ha suggerito che
tale processo è governato da cambiamenti nel funzionamento del concetto di sé,
cambiamenti, cioè, nel modo in cui le persone vedono sé stesse. Secondo Turner il concetto
di se è formato da due elementi:
/// L'identità personale → si riferisce ad autodescrizioni sulla base di caratteristiche
individuali (es. "sono un tipo di persona amichevole" | "Sono un amante del blues").
/// L'identità sociale → denota descrizioni in termini di appartenenza a categorie (es.
"Sono una donna"/"Sono un tifoso del Liverpool"). La motivazione sottostante a
questa uniformità, suggerisce Turner, è che nel definirsi come membri di un gruppo
particolare, gli individui stabiliscono un'associazione tra sé stessi e i vari attributi e le
norme comuni che sperimentano nel far parte di quel gruppo. In tal modo, non solo
gli individui vedono i membri di altri gruppi in modi stereotipati, ma vedono anche
sé stessi come esseri relativamente intercambiabili con gli altri nel proprio gruppo.
Di conseguenza i loro atteggiamenti e le loro azioni assumono l'uniformità che è così
caratteristica delle situazioni di gruppo.
Prima di concludere vorrei fare tre osservazioni ulteriori:
Ciò che distingue il comportamento interpersonale dal comportamento di gruppo non è
principalmente il numero di persone coinvolte. Prendete, per esempio, un'interazione tra due
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4.1 Deindividuazione e comportamento nei gruppi
In che modo dobbiamo considerare questi avvenimenti di Bristol e altri simili? Perché le folle si
comportano in questo modo? Si ipotizzò in un primo momento che fosse il contesto della folla a far
regredire le persone a modalità di condotta primitive e istintive. Secondo Le Bon, l'anonimato, il
contagio e la suggestionabilità, fattori che riteneva endemici delle folle, determinano nei singoli una
perdita di razionalità e di identità, creando invece una "mente di gruppo". L'influsso di questa mente
collettiva, scatena gli istinti distruttivi degli individui dando luogo ad una violenza sfrenata e ad un
comportamento irrazionale.
Malgrado l'ipotesi di Lebon sia stata largamente rifiutata, le sue speculazioni sugli effetti
dell'anonimato nella folla si sono dimostrate di un'influenza enorme per i tentativi successivi di
spiegare il comportamento collettivo: in particolare per la teoria della deindividuazione di
Zimbardo.
Zimbardo prese spunto da molte idee di Lebon formalizzandola all'interno di un modello contenente
numerose variabili di entrata (input), alcuni cambiamenti psicologici intervenienti e il
comportamento risultante. Per i nostri scopi, i tre input più importanti sono:
L'anonimato.
La responsabilità diffusa.
L'ampiezza del gruppo.
Secondo Zimbardo, essere parte di un ampio gruppo fornisce agli individui un velo di anonimato e
diffonde la responsabilità personale per le conseguenze delle proprie azioni. L'autore ritiene che ciò
conduca ad una perdita di identità e ad una minore preoccupazione per la valutazione sociale
(deindividuazione).
Il comportamento in uscita (output) risultante è in tal modo impulsivo, irrazionale e regressivo
poiché non è soggetto all'abituale controllo sociale personale. Il punto principale di questa teoria è
quella di suggerire che il comportamento degli individui subisce un processo degenerativo in
situazioni di folla.
Alcune ricerche hanno ottenuto risultati che confermano la teoria di Zimbardo:
Watson → ha riscontrato una correlazione evidente tra le culture che adottano pratiche molto
aggressive nei confronti dei loro nemici e quelle i cui membri hanno l'usanza di modificare
il proprio aspetto fisico prima delle battaglie. Delle 23 colture prese in esame, 13 vennero
valutate come molto aggressive e, di queste, 12 adottavano vari rituali per camuffare il
proprio aspetto prima delle battaglie.
Jaffe e Yinon → gli autori hanno semplicemente posto a confronto l'intensità media delle
scariche somministrate (ripresa dell'esperimento di Zimbardo) da singoli individui con
quelle fornite da gruppi composti da 3 persone. Come previsto, coloro che parteciparono
come membri di un gruppo somministrarono regolarmente scariche molto più forti di coloro
che erano da soli.
Siegel → ha registrato gli scambi che avvenivano fra gruppi di tre persone nella discussione
di alcuni scenari che richiedevano una scelta. Gli scambi potevano essere diretti o realizzarsi
attraverso il computer, anonimamente. Nei gruppi elettronici le osservazioni reciproche fra i
partecipanti erano meno frequenti, ma contenevano un numero maggiore di commenti
disinibiti come bestemmie, epiteti e insulti.
In contrasto con i dati di Siegel, Spears non ha riscontrato alcuna prova che l'individuazione
produca un aumento delle valutazioni interpersonali negative o una crescita delle
osservazioni disinibite. Non pare quindi affatto che la comunicazione elettronica eserciti un
effetto di flaming generalizzato.
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Malgrado la presenza di questi elementi a sostegno della teoria, sta diventando sempre più evidente
che Zimbardo pone un'enfasi eccessiva sulle conseguenze negative dell'appartenenza al gruppo (es.
perdita dell'identità e comportamento asociale).
Johnson e Downing, ad esempio, trovarono che la deindividuazione può dar luogo ad un aumento di
comportamento prosociale. I loro risultati sono importanti perché dimostrano, in modo abbastanza
conclusivo, che il far parte di un gruppo non porta necessariamente le persone a comportarsi in
modo inutilmente distruttivo come Zimbardo sembra sostenere. In realtà, il loro comportamento
dipende molto dalle norme rilevanti di ogni situazione particolare.
Diener sostiene che l'elemento chiave nel comportamento della folla è la perdita di
autoconsapevolezza. Diener suggerisce che i fattori presenti in alcune situazioni di folla - per
esempio l'anonimato, l'aumento di attivazione, la coesione - portano le persone a dirigere la propria
attenzione all'esterno e corrispondentemente meno su sé stessi e sugli standard personali. Il
risultato, secondo Diener, è che il comportamento delle persone diventa meno soggetto ad una
regolazione interna (vale a dire determinato da valori e abitudini preesistenti) e più influenzato da
indizi e norme immediate e presenti nell'ambiente. Queste, naturalmente, non determinano sempre
azioni violente ma cambiano da situazione a situazione. La spiegazione degli avvenimenti di Bristol
fornita da Diener, allora, sarebbe che con l'aumento delle dimensioni e dell'eccitazione della folla, le
persone diventavano meno consapevoli di sé stesse e di conseguenza più facilmente influenzabili
dagli stimoli presenti nell'ambiente (es. individui che lanciavano pietre).
L'idea che, aumentando di dimensione, la folla perda la capacità di prestare attenzione alla sua
condotta trova sostegno nell'analisi condotta da Mullen. Secondo Mullen, più ampia è la folla più
essa tende a perdere la consapevolezza di sé e più è disposta, nel contesto situazionale ad esempio
del linciaggio, a compiere atrocità.
4.2 Il comportamento della folla nella prospettiva intergruppi
Un aspetto che accomuna l'autoconsapevolezza di Diener con la deindividuazione formulata
inizialmente da Zimbardo, è l'enfasi posta sulla tendenza del comportamento a divenire privo di
regole in situazioni di folla. Per Diener, come per Zimbardo, l'essere in una folla produce
generalmente una perdita di identità e di conseguenza una perdita di autocontrollo.
Ma accade sempre che gli individui perdano la propria identità e l'autocontrollo quando si trovano
in una folla? È possibile individuare numerosi aspetti della rivolta di Bristol che non rientrano
facilmente in tale concettualizzazione:
Rammentiamo che il comportamento della folla, malgrado il carattere violento, in realtà era
abbastanza controllato. Era diretto a bersagli specifici (poliziotti e i loro veicoli) e ne evitava
altri (es. negozi e case del posto). Se le persone stavano semplicemente reagendo a
caratteristiche degli stimoli, perché non hanno cacciato i poliziotti oltre le immediate
vicinanze e diffuso la violenza in altre parti della città?
I rivoltosi e la polizia si sono comportati in modo diverso. Tuttavia, anche i poliziotti
costituivano una folla! Se è vero che in una folla le persone perdono la consapevolezza di sé
e reagiscono nei confronti di stimoli immediati, è necessario sapere perché i poliziotti
prestano attenzione a stimoli diversi da quelli dei rivoltosi.
Non è assolutamente possibile sostenere che la folla fosse anonima in questa circostanza. La
gran parte dei partecipanti si conosceva, almeno di vista. Coloro che presero parte alla
rivolta, invece di perdere la propria identità, sembrano mostrare in modo piuttosto unanime
un nuovo senso d'orgoglio per la loro comunità generato dalle gesta compiute.
Tutte queste osservazioni sono state fatte da Reicher che sottolinea due caratteristiche di molte
situazioni di folla:
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