Kamala Harris propone stretta contro il caro-prezzi e aumento della corporate tax al 28%: le reazioni delle imprese Usa
Kamala Harris propone una legge federale contro il price gauging e l’aumento dell’aliquota aziendale per finanziare piani sociali, ma le associazioni di settore sollevano perplessità
CHICAGO - Il business americano ha espresso non poche perplessità sull’agenda protezionista di Donald Trump e JD Vance . Ma fa scattare levate di scudi anche davanti ai piani economici più aggressivi di Kamala Harris e Tim Walz . Nelle giornate della Convention democratica a Chicago, note preoccupate sono arrivate anzitutto dal settore alimentare, esplicitamente preso di mira: Harris ha proposto la prima legge federale contro il price gauging, speculazioni su prezzi di beni di prima necessità e aziende che approfittino di crisi per rincari eccessivi.
Le reazioni del settore alimentare alla crociata sul caro-prezzi
Le associazioni di settore non ci stanno. La National Grocers Association, che riunisce negozi e supermercati indipendenti, e la Food Industry Association hanno definito le accuse ingiuste e infondate, con l’industria che ha a sua volta risentito delle sfide dell’economia. Hanno semmai invitato ad applicare meglio le esistenti leggi antitrust per favorire la concorrenza.
Non è la sola proposta economica democratica che fa discutere: Harris ha anche indicato che, per finanziare piani sociali e tagli del deficit, vuol aumentare le tasse per ceti più abbienti e grandi corporation, rialzando l’aliquota aziendale al 28% dall’attuale 21% e rastrellando oltre mille miliardi in un decennio.
Ma la crociata sul caro prezzi è la più controversa. L’inflazione alimentare divora indubbiamente crescenti porzioni del reddito familiare. Se i prezzi hanno frenato - il basket della spesa è lievitato dell’1% a luglio - il rincaro è del 27% in quattro anni. Il mix di ragioni appare tuttavia complesso, da shock pandemici alla supply chain, dalla spesa pubblica fino alla guerra in Ucraina e alle scosse sulle materie prime. Studi Fed suggeriscono che le speculazioni non siano tra i motori principali, anche se le associazioni dei consumatori obiettano.
Un provvedimento comunque vago
Un provvedimento sul price gauging rimane inoltre vago: Harris si è limitata a denunciare «prezzi slegati dal costo di fare business» e necessità di strette su merger. Ha evocato maggior autorità di indagine e interventi per agenzie quali la Federal Trade Commission. Trump li ha subito bollati come «controlli sovietici» ma innervosiscono anche economisti democratici, che non vedono la greedflation, l’avidità corporate, quale causa dell’inflazione: quella di Harris è «una politica insensata», ha detto al New York Times Jason Furman, ex consigliere di Barack Obama . Il Washington Post l’ha bollata come «espediente populista».
Le voci più inquiete restano quelle delle imprese
Leslie Sarasin, Ceo della Food Industry Association, ha definito l’accostamento price gauging-inflazione «irresponsabile». Ha citato «margini di profitto dei retailer molto bassi, l’1,6% l’anno scorso» e venti contrari economici, «costo del lavoro, prezzi dell’energia volatili, maltempo estremo, sfide nelle catene di forniture, regolamentazioni».