Come si è arrivati al pīnyīn
(note sui metodi utilizzati per indicare la pronuncia dei caratteri cinesi)
I caratteri cinesi non hanno, in linea generale, valore fonetico anche se, a voler essere precisi, una componente fonetica può essere riscontrata nella formazione di alcuni di essi.
Se prendiamo, ad esempio, il carattere 鯉 (lĭ)= “carpa”, vediamo infatti che esso risulta di un elemento semantico 魚 (“yú”)=”pesce e di un elemento fonetico: 里 (“lĭ”). Il carattere 里 (“lĭ”), che significa “villaggio”, ha in tale contesto la sola funzione di ricordare che la carpa è un pesce il cui nome si pronuncia “lĭ”.
Il problema dell’indicazione della pronuncia si pose fin da tempi molto antichi, quando i commentatori dei testi classici si trovarono nella necessità di spiegare il senso e la pronuncia di termini rari od obsoleti, che la gente non conosceva più.
Il sistema che essi adottarono è simile a quello usato, come abbiamo appena visto, per la creazione di taluni caratteri, cosicché ci si può domandare quale dei due abbia dato origine all’altro.Esso è conosciuto con il nome di 讀若 “dúruò”, vale a dire “leggi come” e consiste semplicemente nel rimandare alla pronuncia di un carattere omofono.(1) Le sue prime applicazioni si ritrovano nell’ Ěryă 爾 雅 , dizionario del 3° secolo a.C.
L’introduzione del Buddhismo in Cina nel corso del 1° secolo d.C. pose i missionari indiani di fronte al problema di indicare ai fedeli l’esatta pronuncia dei termini religiosi sanscriti che figuravano nei testi sacri della nuova religione,
Essi elaborarono, di conseguenza, un sistema di notazione della pronuncia detto 反切 (“fănqiè”), che consentiva di determinare chiaramente il suono iniziale, il suono finale e il tono, cioè gli elementi essenziali dei monosillabi che costituivano la lingua classica.
Nel sistema “fănqiè” la pronuncia di un carattere è indicata mediante due altri caratteri: il primo riferito al suono iniziale, il secondo al suono finale e al tono.(2)
Ad es. la pronuncia del carattere 東 (“dōng”) è notata per mezzo dei caratteri 德 (dé”) e 紅 (“hóng”).(3)
Secondo Yán Zhītuī 顏之推, studioso del VI° secolo d.C., il “fănqiè” sarebbe stato usato per la prima volta da Sūn Yán 孫 炎 di Wèi , durante il periodo dei Tre Regni 三 國 時 代 (220 d.C.-280 d.C.) , nella sua opera intitolata “Suoni e significati dell’ Ĕryă” (爾 雅 音義 “ĕryă yīnyì”). Alcuni esempi di questo metodo sono tuttavia stati trovati nelle opere di Fú Qián 服虔 e di Yìng Shào 應 劭 , che risalgono alla fine del II° secolo d.C.
Un tentativo di creare un alfabeto che potesse applicarsi anche al cinese fu compiuto sotto la dinastia mongola Yuán 元 朝 , che tenne il potere dal 1279 d.C. al 1368 d.C.
Il fondatore della dinastia, Kubilai Khan 忽 必 烈 , volendo istituire un alfabeto utilizzabile per tutte le lingue parlate nell’Impero, si rivolse, per questo scopo, al monaco tibetano Drogӧn Chӧgyal Phagspa (1235 d.C.-1280 d.C., in cinese Bāsībā 八 思 巴 ), del quale ammirava la vasta cultura e le approfondite conoscenze linguistiche.
Partendo dalla scrittura tibetana, che è una scrittura bramanica, cioè di origine indiana, Phagspa elaborò il seguente alfabeto:
ꡀ KA ꡁ KHA ꡂ GA ꡃ NGA ꡄ CA ꡅ CHA ꡆ JA ꡇ NYA ꡈ TA ꡉ THA ꡊ DA ꡋ NA ꡌ PA ꡍ PHA ꡎ BA ꡏ MA ꡐ TSA ꡑ TSHA
ꡒ DZA ꡓ WA ꡔ ZHA ꡕ ZA ꡖ -A- ꡗ YA ꡘ RA ꡙ LAl ꡚ SHA ꡛ SA ꡜHA ꡝ 'A' ꡞ I ꡟ U ꡠ E ꡡ O ꡢ QA ꡣ XA
ꡤ FA ꡥ GGA ꡦ EE ꡧ W ꡨ Y
Si tratta di un “abugida”, nome tratto dalle prime quattro vocali dell’alfabeto amarico (“a”,”bu”,”gi”,”da”) con il quale si designano gli alfabeti sillabici costituiti da segni che indicano una consonante e una vocale inerente, di regola la “a”, mentre le altre vocali sono notate mediante una estensione del segno di base o l’aggiunta di un segno diacritico.
Adottato con decreto dell’Imperatore nel 1269, questo alfabeto avrebbe dovuto, nelle intenzioni di Kubilai, diventare non soltanto la scrittura ufficiale dell’amministrazione, ma anche la scrittura di uso comune nelle relazioni tra i privati. In realtà la sua applicazione incontrò fortissime resistenze e persino all’interno della classe dirigente mongola esso fu raramente usato al di fuori dei documenti ufficiali, cosicché gli esempi che ce ne sono giunti si ritrovano prevalentemente negli editti imperiali, sulle banconote, sulle monete, sui sigilli e sulle iscrizioni lapidarie. Con la caduta della dinastia Yuán nel 1368, esso perse il carattere di scrittura ufficiale e scomparve completamente dall’uso.
Conosciuto anticamente come “scrittura quadrata” (方 體 字 “fāngtĭzì”) per la forma delle sue lettere o come “nuova scrittura mongola (蒙 古 新 子 “mĕnggŭ xīnzì”), l’alfabeto in questione è oggi comunemente indicato come “scrittura di Phagspa” (八 思 巴 文 “bāsībā wén”).
Lo troviamo descritto in due opere del 14° secolo d.C.:il “Făshū Kăo” 法 書 考 , un testo relativo all’arte della calligrafia pubblicato dal funzionario di origine uigura Shèng Xīmíng 盛 熙 明 nel 1334, e il “Shūshĭ Huìyào” 書 史 會 要 , una storia della calligrafia pubblicata da Táo Zīngyì 陶 宗 義 nel 1376.
Nel “Făshū Kăo” leggiamo, ad esempio, questa precisazione: “Quando si usa per scrivere il cinese le tre lettere ra, qa e gga vanno omesse e si devono invece aggiungere le quattro lettere fa,sha, ha e ya”. ( 漢字内則去ꡘ、ꡢ、ꡥ三字,增入ꡤ、ꡚ、ꡜ、ꡗ四字).
Un’applicazione del metodo 讀若 (“dúruò”), di cui abbiamo già parlato, si ritrova, durante l’epoca Míng 明 朝 , in una serie di dizionarietti preparati dall’”Istituto per i quattro (linguaggi) barbari” (四 夷 官 “ sì yí guān”) che fu creato nel 1407 in seno all’accademia Hànlín 翰 林 院(“hànlín yuàn”) e che aveva il compito di curare le comunicazioni scritte del governo con le minoranze etniche facenti parte dell’Impero o con i popoli che intrattenevano relazioni diplomatiche con la Cina.
Un primo dizionario di questo tipo era già stato compilato dall’accademico di origine mongola Huŏ Yuánjié 火 原 潔 nell'anno 1382. Esso offriva la traduzione di un certo numero di termini della lingua mongola, dei quali riportava anche la pronuncia, e rimase fino a tempi recenti l’unico dizionario cinese-mongolo disponibile.
I dizionari redatti dal suddetto istituto sono conosciuti collettivamente come 華夷譯語 (“huáyí yìyŭ”), vale a dire “traduzione di parole dal cinese alle lingue barbare”. I termini stranieri sono presentati nella grafia originale (來 文 “láiwén”) e tradotti in caratteri cinesi (漢字注音 ”hànzì zhùyīn”) sotto i quali viene riportata, sempre in caratteri cinesi, la pronuncia nella lingua originaria.
Ad esempio, il primo foglio di un “huìhuì huáyí yŭ`” ( 回 回 華 夷譯語), dizionario bilingue cinese-persiano, relativo all’astronomia 天 文 門 (“tiānwénmén”) si presenta come segue:
ماه (māh) آسمان (āsmān)
月 (yuè=luna) 天 ( tiān=cielo)
黑 媽 (māhēi/māhè) (scrittura da destra a sinistra) 恩 媽 思 阿 (āsīmāēn)
ستاره ( setārah) آفتاب (āftāb)
星 (xíng= stella) 日 ( rì= sole)
勒 他洗 (xĭtālè) 夫 他 卜 阿 (āfūtābù) (4)
I metodi finora menzionati sono tutti metodi elaborati dai Cinesi per esplicitare la pronuncia di termini rari od obsoleti o per consentire ai diplomatici di esprimersi, almeno in modo elementare, in lingue diverse dal cinese.
Non risultano invece metodi elaborati da studiosi stranieri per notare la pronuncia dei termini cinesi ( o almeno non ne rimangono testimonianze scritte) fino all’arrivo in Cina dei primi missionari gesuiti verso la fine del XVI° secolo d.C.
È interessante ricordare che, quando i navigatori portoghesi giunsero a Macao verso la metà del XVI° secolo ed ebbero i primi contatti con la lingua cinese, ci fu chi si illuse di aver scoperto l’”alfabeto cinese”.
Rimane , a testimonianza di questo equivoco, un manoscritto conservato nella British Library (5) che ci presenta un testo copiato nella Biblioteca Vaticana e contenente, secondo quanto risulta dallo stesso manoscritto, “Alphabetum idiomatis de China ex Bibliotheca Vaticana Romae. In tertia aula conclusa. Ex schedula manu Marcelli papae (6) scripta, ut aiunt. Sunt et illic libri hoc idiomate perscripti et manuscripti plures.”
I segni riportati nel manoscritto, accompagnati ciascuno dalla sua pronuncia indicata in lettere latine, furono infatti presi per lettere di una specie di alfabeto sillabico, cosa che può trovare una sua spiegazione se si pensa che, nello stesso periodo, i Portoghesi entrarono in contatto con un altro popolo, i Giapponesi, i quali, pur usando abitualmente i caratteri cinesi, avevano elaborato per venire incontro ai bisogni specifici della propria lingua un vero e proprio alfabeto sillabico: lo “hiragana”. (7)
Da che cosa può essere nato questo malinteso? Se si guarda ai caratteri riportati nel manoscritto, si scopre infatti che non si tratta di caratteri isolati, ma che la loro successione ci fornisce un testo molto conosciuto, lo “Shàngdàrén” (8), una filastrocca i cui caratteri servivano da secoli come modelli d’esercizio per i bambini che imparavano a scrivere. È quindi possibile che qualche marinaio portoghese vedendo dei bambini cinesi ricopiare con cura i caratteri di tale testo ne abbia concluso in modo affrettato che esso fosse l’equivalente di un abecedario europeo.
Il primo esempio di dizionario bilingue con annotazione della pronuncia in alfabeto latino è stato riscoperto in tempi abbastanza recenti presso gli Archivi Vaticani.(9)
Si tratta di un dizionario portoghese-cinese, redatto dai due missionari Michele Ruggieri e Matteo Ricci (10), durante i primi anni del loro soggiorno in Cina, probabilmente con l’aiuto di qualche discepolo cinese per la riproduzione dei caratteri cinesi. Incompleto e rimasto allo stato di manoscritto, esso non fu mai pubblicato (11). Si congettura che sia stato riportato in Italia dal Ruggieri, quando si recò in Vaticano con l’intenzione di convincere la Santa Sede ad inviare una missione diplomatica in Cina e che sia stato allegato al rapporto da lui presentato in quell’occasione. Della missione non si fece nulla e il documento andò smarrito negli Archivi Vaticani, dove giacque ignorato per parecchi secoli.
Si può ipotizzare che fosse, anche se redatto in collaborazione con Ricci, l’esemplare di cui si serviva Ruggeri e che portò con sè in Europa. Sembra ragionevole pensare che un esemplare analogo fosse in possesso di Ricci, che lo elaborò successivamente, anche se la prodigiosa memoria di Ricci (12) potrebbe anche giustificare l’ipotesi che non avesse più bisogno, dopo qualche anno di studio del cinese, di ricorrere ad un dizionario.
Il dizionario è impostato su tre colonne:
-la prima contiene i termini e le frasi portoghesi di cui si vuol dare la traduzione in cinese;
-la seconda contiene la romanizzazione dei termini cinesi e studi recenti hanno appurato che la scrittura è quella del Ruggieri ;
-la terza colonna contiene i caratteri cinesi corrispondenti ai termini portoghesi della prima;
-nei fogli 32a-34a c’è una quarta colonna, di mano del Ricci, che fornisce i termini italiani corrispondenti ai termini portoghesi della prima colonna.
Come s’è già detto il dizionario è incompleto, anche se contiene circa 6000 voci in portoghese, delle quali tuttavia solo 5461 sono state tradotte in cinese.
Non contiene segni che indichino l’aspirazione iniziale presente in taluni termini cinesi o i diversi toni.(13). Queste omissioni sembrano tuttavia essere dovute al fatto che Ruggieri non disponeva di un sistema di notazione di queste particolarità della lingua cinese, ignote alle lingue europee,e non al fatto che potessero essergli sfuggite.
La romanizzazione di Ruggieri si fonda in parte sull’ortografia portoghese dell’epoca in parte su quella italiana dello stesso periodo. (14)(15)
Ecco, a titolo d’esempio, la riproduzione di una delle prime pagine del dizionario ( la grafia del portoghese è quella in uso nel XVI° secolo):
Termine portoghese Romanizzazione del cinese Caratteri cinesi Pinyīn Italiano
aguoa scioj 水 shuĭ acqua
aguoa de flor zen sciã scioj 甑 香 水 zèng xiāng shuĭ acqua profumata (16)
aguoa de poso çin scioj 井 水 jĭng shuĭ acqua di pozzo
aguoa de fonte yuã scioj 源 水 yuán shuĭ acqua di fonte
aguoa de rio ho scioj 河 水 hé shuĭ acqua di fiume
aguoa da chuva yu scioj 雨 水 yŭ shuĭ acqua piovana
aguoa salguada yen scioj 鹽 水 yán shuĭ acqua salata
aguoa salobra, cozida chiu quo scioj 煮 過 水 zhŭ guó shuĭ acqua calda
aguoa clara qin scioj 清 水 qīng shuĭ acqua chiara
aguoa da fazer (fazer aguoa?) tiau scioj 挑水 tiāo shuĭ acqua da attingere
attingere acqua?
aguoar 灌-水 guàn shuĭ diluire con acqua
aguoar o vinho zã scioj 掺水 chān shuĭ annacquare il vino
Alcuni documenti parlano poi di un secondo dizionario bilingue: cinese-portoghese, che sembra essere andato perduto.
Il 5 novembre 1598, Matteo Ricci si allontanò da Pechino, di fronte alle cui porte aveva sostato a lungo attendendo invano di essere autorizzato ad entrare in città, e salì in barca per dirigersi verso Línqīng 臨清 nello Shāndōng 山東 . Era accompagnato da due confratelli, il novizio Sebastian Fernandes (1562-1621) e il padre Lazzaro Cattaneo (1560-1640).
Poiché la navigazione, a causa del cattivo tempo, durò un intero mese, i missionari decisero di sfruttare il tempo disponibile per comporre un dizionario cinese-portoghese.
Ecco come viene descritto questo episodio:
“Passarono così un mese di navigazione prima di arrivare a Lincin e, per non sprecare il loro tempo, decisero di redigere, con l’aiuto di Fratel Sebastiano, che conosceva molto bene il cinese, un bel vocabolario che trattasse in modo regolare e ordinato tutte le questioni relative a tale lingua e consentisse, da allora in poi, a chiunque di apprenderla agevolmente. Avendo a che fare con una lingua composta di termini monosillabici, è essenziale saper percepire e pronunciare correttamente i toni e le aspirazioni che caratterizzano le singole parole. È infatti grazie ai toni e alle aspirazioni che i Cinesi distinguono tra di loro e capiscono molti vocaboli i quali altrimenti suonerebbero identici, con gravi problemi per la comprensione della lingua. Al fine di operare questa distinzione i missionari scelsero cinque segni differenti per indicare i toni, aiutati in ciò dall’orecchio musicale del padre Cattaneo che riusciva a individuare molto bene i diversi toni. Essi sovrapposero poi questi segni alla romanizzazione dei caratteri cinesi stando attenti, nella scrittura delle parole, a rispettare un’applicazione uniforme del metodo. Padre Matteo ordinò che, da quel momento in poi, si applicassero esclusivamente tali regole e che nessuno procedesse più di testa propria, in modo da evitare una grande confusione. Questo sistema presenta numerosi vantaggi: il vocabolario così strutturato permette di comunicare con i Cinesi, altri futuri dizionari redatti secondo lo stesso sistema potranno essere facilmente capiti da tutti e, infine, gli scritti e le note di ciascun missionario potranno essere utilizzati dagli altri, con grande profitto e utilità per lo studio della lingua cinese”.
(FR II 32-33 )( Ruggeri e Ricci, 2001,pag.185). ( 17)
Il dizionario è menzionato, negli scritti di Matteo Ricci, con il seguente titolo: “Vocabularium sinicum ordine alphabetico europaeorum more concinnatum (18) et per accentus suos digestum”. (cfr.“ Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina”, Pechino 1608-1610., lib.IV, cap.III, pp. 287-288).
Esso è inoltre diffusamente citato dal padre Daniello Bartoli SJ (1608-1685) , che nella sua “Historia della Compagnia di Giesù” del 1665, lo chiama “Vocabolario Sinicoeuropeo” ( cfr. Vol. IV, “Della Cina”, capitoli.98-99, pp.196, nell’edizione in 34 volumi pubblicata a Torino dal 1825 al 1844).
Il padre Athanasius Kircher SJ (1602-1680) pubblicò nel 1667 un volume intitolato “China Illustrata” nel quale figura un “Catalogus librorum a patribus nostris in Chinensis Ecclesiae incrementum conscriptorum” (“Catalogo dei libri scritti dai nostri missionari a beneficio della Chiesa Cinese”). Tra le opere attribuite al “Venerabilis Pater Mattheus Riccius Maceratensis” è menzionato un “Dictionarium Sinicum pro usu nostrorum, cuius exemplar apud me est, quod et libenter luci publicae darem si sumptus in eo faciendi suppeterent” (“Un Dizionario Cinese ad uso dei nostri missionari, del quale posseggo un esemplare, che darei volentieri alle stampe, se qualcuno ne finanziasse la pubblicazione”.) Il dizionario non fu pubblicato e l’esemplare in possesso del padre Kircher andò smarrito. Considerato che la menzione del dizionario non è accompagnata da alcun dettaglio, non è possibile dire se l’opera in questione fosse il già citato dizionario portoghese-cinese compilato tra il 1583 e il 1585 oppure il dizionario cinese-portoghese a cui il Ricci pose mano nel 1598.
Nessuna menzione del dizionario cinese-portoghese appare più in epoca posteriore a tali date, anche se qualche vago indizio potrebbe lasciar supporre che un esemplare ne esista ancora in Cina. (19)
Sebbene il dizionario sia andato perduto,conosciamo il sistema elaborato da Ricci e Cattaneo perché esso fu applicato in opere successive, ad es. nel 西 子 奇 跡 (”xīzĭ qíjì” “Il Miracolo dei Caratteri Occidentali”), pubblicato a Pechino nel 1605. In tale testo ogni carattere cinese è affiancato dalla sua romanizzazione.
Le caratteristiche fondamentali del suddetto sistema sono le seguenti: (20)
Le aspirazioni e i toni sono indicati mediante alcuni dei segni diacritici inventati dai grammatici ellenistici Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia.
L’aspirazione iniziale di talune parole è notata mediante il segno che, in greco, è conosciuto come “spirito aspro”: ῾. Ad esempio, la parola 天 (“tiān” “cielo”) è resa con “t῾iēn”.
Il suono nasale finale che il pīnyīn rende con “ang”, ”eng”, “ing”, ”ong” è indicato aggiungendo una “m” alla vocale precedente. Ad es. 行 (“xīng” “andare”) è reso con “hîm”.
I cinque toni del dialetto di Nanchino, che era, a quel tempo, la lingua ufficiale dell’Impero, sono resi come segue: (21)
1) lo 陽 平 (“yángpíng”) , tono medio uniforme, corrispondente all’attuale primo tono, è reso sovrapponendo alla vocale un trattino - chiamato “macron”, ad es. 心 (“xīn” “cuore”) è scritto “sīn”.
2) lo 陰 平 (“yīnpíng”), tono basso decrescente, è reso sovrapponendo alla vocale un accento circonflesso :˄. Lo troviamo applicato ai termini 文 (“wén” ”cultura”) e 人 (“rén” ”uomo”), che sono scritti rispettivamente “vên” e ”gîn”.
3) lo 上 聲 (“shàng shēng”), tono medio decrescente, è reso sovrapponendo alla vocale un accento grave: `. Lo troviamo applicato ai termini 雨 (“yŭ” “pioggia”) e 水 (“shuĭ” “acqua”) che sono scritti rispettivamente “yù” e “xùi”.
4) il 至 聲 (“zhìshēng”), tono crescente alto, è reso sovrapponendo alla vocale un accento acuto:´. Lo troviamo applicato ai termini 步 (“bú” “passo”) e 便 (“biàn” “conveniente”) che sono scritti rispettivamente “pú” e ”pién”.
5 ) il 入 聲 (“rúshēng”), tono iniziale, è reso sovrapponendo alla vocale un piccolo semicerchio chiamato “breve”: ˘.Lo troviamo applicato ai termini 十 (“shí” “dieci”) e 曰 (“yuē” “dire”), che sono resi rispettivamente con “xĕ” e “yuĕ”.
Riporto qui, a titolo d’esempio, una pagina dello “Xīzĭ Qíjì” che riprende un episodio narrato nel Vangelo di Matteo (cap.14, versetti 22-36).(22):
者 chè 心 xīn 天t‘iēn ...(23)
何 hó 便 pién 主 chù 則 cĕ
以 ì 凝 nhî 使 sỳ 曰 yuĕ
凝 nhî 而 lhî 之shī 倘 t‘àm
乎 hû 漸 c‘iên 行 hîm 是 xý
篤 tŏ 沉 ch‘în 時 xî 天 t‘iēn
信 sín 天 t‘iēn 望 vám 主 chù
道 tào 主 chù 勐 maèm 使 sỳ
之 shỳ 援 iuên 風 fūm 我 ngò
人 gîn 其 k‘í 發 fā 步 pú
踵 chùm 手 xèu 波 bō 海 hài
弱 lŏ 曰 yuĕ 浪 láng 不 pŏ
水 xùi 少 xào 其 k‘í 沉 ch‘în
信 sín 心 .sīn
Il sistema ideato dal Ricci fu perfezionato dal gesuita fiammingo Nicolas Trigault (1577-1628) nel suo lessico cinese per sinologi europei intitolato (西 儒 耳 目資 “ xīrú ĕrmù zī”), vale a dire “Aiuto per le orecchie e per gli occhi degli studiosi europei”, pubblicato a Hángzhōu 杭 州 nel 1626.
Esso fu generalmente applicato nei due secoli successivi, finché, nel 19° secolo, l’apertura della Cina ad una molto più intensa influenza occidentale non diede inizio ad una nuova fase di sviluppo anche in materia linguistica.
Thomas Wade (1818-1895), ufficiale del corpo di spedizione britannico durante la prima Guerra dell’Oppio (1839-1842), poi interprete a Hong Kong nel 1845, viceconsole a Shanghai nel 1852, negoziatore della pace con la Cina dopo la seconda Guerra dell’Oppio nel 1857, capo della legazione britannica in Cina dal 1871 al 1883, pubblicò a partire dal 1859 una serie di libri sulla lingua cinese, nei quali applicò un nuovo sistema di romanizzazione adattato alle esigenze della lingua inglese. Perfezionato da Herbert Giles (1845-1935), professore di cinese all’Università di Cambridge, nel 1912, questo sistema, poi conosciuto come “ Wade-Giles”, rimase, per gran parte del 20° secolo, il sistema di traslitterazione predominante in tutta l’area anglofona e quindi il più diffuso in tutto il mondo.
Il “Wade-Giles” nota la differenza tra le consonanti non aspirate e le corrispondenti aspirate aggiungendo un apostrofo alle seconde (p, pʻ, t, tʻ, k, kʻ, ch, chʻ). Ciò permette di riservare le lettere b, d, g e j alla notazione delle consonanti sonore che figurano in taluni dialetti come quello di Shànghài. (24) L’apostrofo assume qui un’importanza fondamentale perché la sua omissione porterebbe a pronunciare in modo identico fonemi che nella lingua cinese appaiono nettamente distinti. I toni sono indicati mediante un numerino in coda ad ogni sillaba.(25)
L’altro sistema di romanizzazione più diffuso fu il cosiddetto “sistema dell’ E.F.E.O”. Concepito nel 1901 dal sinologo francese Arnold Vissière (1858-1930) e fatto proprio nel 1902 dallo studioso gesuita Séraphin Couvreur (1835-1919), che vi apportò alcune modifiche, esso fu utilizzato per oltre un cinquantennio dall’École Française d’Extrème-Orient (E.F:E.O.) e svolse nei paesi francofoni un ruolo analogo a quello svolto dal “Wade-Giles” nei paesi anglofoni.
La trascrizione dell’E.F.E.O.non si ispirava alla fonetica del dialetto mandarino attuale, ma tentava piuttosto di avvicinarsi ad un suono “medio” che tenesse conto per quanto possibile anche della pronuncia di un termine nei diversi dialetti. Essa prendeva inoltre in considerazione uno stadio di evoluzione fonetica un po’meno recente di quello che sta alla base del “Wade-Giles”. Si spiega così che la consonante palatale resa oggi dal pīnyīn mediante la lettera j fosse trascritta con ts o con k. I caratteri che designano il Fiume Azzurro 揚 子 江 (“yángzĭ jiāng” in pīnyīn) erano trascritti “yáng tsĕ kiāng”.
Poiché il sistema dell’E.F.E.O. si adattava alle particolarità fonetiche della lingua francese, la trascrizione di molte sillabe cinesi risultava simile a quella effettuata dai missionari francesi che operarono in Cina tra la fine del 17° secolo e la fine del 19° secolo. A titolo d’esempio, la trascrizione dei caratteri che indicano la prefettura di Yánzhōu 嚴州府 ( “yánzhōu fŭ” in pīnyīn ) appare identica a quella che troviamo nella “Description de la Chine” del padre Jean-Baptiste du Halde SJ (1674-1745): “yén tchēou fŏu”.
Sistemi di traslitterazione furono elaborati anche per altre lingue europee che utilizzavano l’alfabeto latino. Basti citare ,a questo riguardo, il sistema creato in Germania nel 1912 da Ferdinand Lessing (1882-1961) e Wilhelm Othmer (1882-1934), che fu applicato nella colonia di Qīngdăo 青 島. Nel 1979, il Comitato Statale per la Romanizzazione della Repubblica Popolare di Cina ne raccomandò l’utilizzazione per la trascrizione di termini cinesi in testi di lingua tedesca.
La quasi totale assenza dell’Italia dalla grande politica internazionale, in particolare per quanto riguarda i rapporti con la Cina, e la mancanza di un diffuso interesse per la lingua e per la cultura cinese, nonostanze l’azione di singoli studiosi, hanno purtroppo fatto sì che non sia stato creato nel nostro paese alcun sistema di romanizzazione comunemente accettato. Le regole di trascrizione elaborate dal diplomatico Ludovico Nocentini (1849-1910), dal padre Pasquale D’Elia SJ (1890-1963) e dal padre Benedetto Valle OFM (1895-1974), che usò per il suo “Dizionario Cinese-Italiano”, pubblicato nel 1948, un sistema di romanizzazione da lui stesso inventato, non hanno mai trovato applicazione al di fuori delle loro opere.
Esistono infine numerosi sistemi di trascrizione dei caratteri cinesi in alfabeti non latini.
A questo riguardo si possono menzionare in special modo:
1) il “sistema di Palladio”, inventato dal monaco Palladio Палла́дий (1817-1878), al secolo Piotr Ivanovic Kafarov, che è il sistema ufficiale usato in Russia per la trascrizione dei caratteri cinesi;.
2) il “xiaoerjing” 小 儿 经 (letteralmente: “l’alfabeto dei bambini”), sistema di trascrizione dei caratteri cinesi in lettere dell’alfabeto arabo che è utilizzato in Cina dalle minoranze etniche di religione islamica: Huí ( 回”huí”), Dungani ( 東干 “dōngān”), Salar ( 撒拉”sālā”) e Uiguri ( 维吾尔 ”wéiwú’ĕr”).
Un particolare tipo di romanizzazione fu quello adottato , verso la fine della dinastia Qīng, dall’Ufficio Postale Imperiale, creato nel 1899 nell’ambito del Servizio delle Dogane Marittime.
Il diplomatico britannico Robert Hart (1835-1911), che svolgeva dal 1863 le funzioni di ispettore generale delle dogane, invitò i direttori degli uffici postali a fornirgli la romanizzazione dei toponimi dei loro rispettivi distretti.
Le risposte che ottenne si basavano, nella maggioranza dei casi, sul sistema Wade-Giles, che si ispirava alla pronuncia del mandarino parlato nella regione di Pechino.
Un progetto di romanizzazione dei toponimi cinesi fu pubblicato nel 1903, ma Hart, che avrebbe preferito tenere in maggior conto le diverse pronunce regionali, sollecitò nel 1905 nuove traslitterazioni che corrispondessero agli “usi locali”.
Una decisa opposizione al progetto, ma per motivi di tutt’altro genere, venne anche dal segretario generale delle poste, il francese Théophile Piry, che non vedeva di buon occhio l’adozione di un sistema di romanizzazione puramente anglofono.
Ciò portò alla convocazione di una Conferenza Postale Imperiale in sessione congiunta per le poste e per i telegrafi (帝國郵電聯席會議 “dìguó yóu diàn liánxí huìyì”) che si riunì a Shànghăi nella primavera del 1906 e che dispose:
-l’abolizione dei segni diacritici, degli accenti e degli apostrofi;
-il mantenimento delle traslitterazioni già esistenti;
-il riferimento alla pronuncia locale per le nuove traslitterazioni concernenti toponimi del Guăndōng 廣 東 nonché di alcune zone del Guăngxī 廣 西 e del Fújiàn 福 建;
-l’utilizzazione, per le altre regioni, di un sistema chiamato il “Sillabario di Nanchino”, che era stato creato da Herbert Giles basandosi sulle caratteristiche dei dialetti mandarini parlati nella Cina Meridionale.
Il “ Sillabario di Nanchino” corrispondeva, grosso modo, alle romanizzazioni tradizionali elaborate dai missionari francesi nel corso del 17° e del 18° secolo (Pechino e Nanchino vi erano, per esempio, resi con “Peking” e “Nanking”) e aveva perciò il vantaggio, specialmente agli occhi dei Francesi, di tener conto nella misura del possibile delle romanizzazioni usate nei paesi non anglofoni.
La rivalità tra Francesi e Inglesi continuò a manifestarsi per tutto il periodo in cui il sistema postale cinese fu gestito da amministratori d’origine occidentale. Nel biennio 1920-1921, in un momento di maggiore influenza inglese, fu nuovamente introdotto un sistema di tipo anglofono ( il sistema “Soothill-Wade”). In seguito si ritornò al sistema precedente, ma i 13.000 uffici postali aperti nel frattempo conservarono per i toponimi dei loro distretti la romanizzazione Soothill-Wade.
Il sistema di romanizzazione usato nel settore postale (in cinese: 郵政式拼音 “yóuzhèngshì pīnyīn”) fu ufficalmente abolito dal regime comunista nel 1964, ma rimase in uso fino agli anni “80, quando venne a poco a poco sostituito dal “pīnyīn”.(26)
Va infine ricordato il “sistema Yale”, creato nel 1943 dall’Università di Yale per agevolare la comunicazione tra i Cinesi ed i piloti americani impegnati al loro fianco nella guerra contro i Giapponesi. Tale sistema, molto simile a quello che sarà in seguito il “pīnyīn”, si distingue per il fatto che talune pronunce sono rese con una forma più vicina all’usuale grafia anglo-americana. Esso ebbe una certa diffusione negli anni “60 e “70 perché la sua utilizzazione consentiva di dichiararsi “neutrali” rispetto ad altre scelte, come quella del “hànyú pīnyīn” 汉语拼音 o del "gwoyeu romatzyh" 國語羅馬字, alle quali veniva attribuita, a torto o a ragione , una connotazione politica.
I sistemi di romanizzazione che abbiamo finora esaminato erano opera di studiosi occidentali e miravano semplicemente ad agevolare l’apprendimento del cinese fornendo una trascrizione dei caratteri che si avvicinasse il più possibile alla loro pronuncia.
I tentativi di trascrizione fonetica intrapresi da letterari e politici cinesi nel periodo a cavallo tra il 19° e il 20° secolo vanno invece visti in tutt’altra prospettiva. Il loro obiettivo non consisteva nell’offrire ai sinologi un sussidio didattico, bensì nel rimpiazzare con un sistema alfabetico il sistema tradizionale di scrittura basato sugli ideogrammi. Essi ebbero perciò fin dall’inizio una valenza politica e sociale che non può essere trascurata.
Il primo sistema di trascrizione “cinese” fu presentato da Lú Zhuángzhăng 盧戇章 (1854-1928) in un libro intitolato “Primi passi per capire un testo con una sola occhiata: Una nuova scrittura fonetica cinese applicata al dialetto di Amoy” ( 一目了然初階: 中国切音新字廈腔 “yīmù liăorán chūjiē: zhōngguó qiēyīn xīnzì xià qiāng”), pubblicato nel 1892.
Nella prefazione a questo libro, si leggono alcune frasi molto significative:
“...I caratteri cinesi sono forse, nel mondo di oggi, i più difficili da decifrare .. Un poeta o uno scrittore cinese non usa, di regola, più di 5000 caratteri, ma , per imparare a leggerli tutti, anche la persona più intelligente ha bisogno di almeno un decennio di studio costante. Quanto sopra spiega la necessità di un alfabeto. A mio modesto parere, la ricchezza e la potenza di una nazione si fondano sulle conoscenze scientifiche, il cui progresso è a sua volta stimolato dal desiderio di imparare e di capire che anima uomini e donne, giovani e vecchi. Questo desiderio riesce a realizzarsi grazie all’alfabeto. Chi ha imparato le lettere dell’alfabeto e la loro pronuncia può leggere da solo qualsiasi testo senza bisogno di aiuto. Poiché le lettere dell’alfabeto hanno anche valore fonetico, leggere una parola significa capirla. Per di più, le lettere dell’alfabeto sono facili da scrivere e da riconoscere, essendo formate da un piccolo numero di tratti. Chi impara l’alfabeto si risparmia quindi dieci anni di studio inutile, che potrà dedicare con profitto all’apprendimento della matematica, della fisica, della chimica o di qualsiasi altra materia. Come si può pensare che ciò recherebbe danno alla nazione? Oggi tutte le nazioni del mondo, salvo la Cina, usano alfabeti composti da 20 o 30 lettere. Questo fa sì che in tutti i paesi civilizzati d’Europa e d’America, persino nei villaggi più remoti e nelle aree più sperdute, tutte le persone, maschi e femmine, di età superiore ai dieci anni sanno leggere. Qual è la ragione di questo fenomeno? Il semplice fatto che la scrittura di una parola corrisponde alla sua pronuncia e che gli alfabeti sono formati da un numero limitato di lettere facili da riconoscere. Gli stranieri sono tutti in grado di leggere perché, nelle loro lingue, la grafia di un termine ne indica anche la pronuncia ...”.
Il sistema ideato da Lú Zhuángzhăng si chiamava “qiēyīn xīnzì” 切音新字, vale a dire “nuovo alfabeto fonetico” e si ispirava all’antico metodo 反切 (“fănqiè”), che riproduceva la pronuncia di ogni parola mediante l’indicazione della consonante iniziale e del suono finale di ogni sillaba. Esso si componeva di 55 lettere in forma di caratteri latini originali o modificati.
Tale sistema non ebbe molto successo, perché non si dimostrò alla prova dei fatti semplice e pratico come il suo autore aveva creduto, ma ispirò tra il 1892 e il 1910 ben 28 altri sistemi fonetici applicati ad una varietà di dialetti.
Le soluzioni trovate per la forma delle lettere furono le più fantasiose: se alcuni sistemi adottarono i caratteri latini, altri utilizzarono caratteri cinesi arcaici, caratteri ridotti a pochi tratti, i kana giapponesi, i segni stenografici, i numeri o altro ancora. L’esperienza successiva doveva tuttavia dimostrare che la formula atta a garantire ad un sistema la più ampia diffusione era l’adozione dei caratteri latini.
Tra i vari sistemi di trascrizione merita una menzione il 官 話 合 聲 字 母 (“guānhuà héshēng zìmŭ”), cioè l’alfabeto fonetico del dialetto mandarino parlato nella regione di Pechino, pubblicato da Wáng Zhào 王 昭 nel 1901.
Nel 1912 il nuovo governo repubblicano creò una Commissione per l’Unificazione della Pronuncia ( 讀 音 統 一 會 “dúyīn tŏngyī huÌ”) con l’incarico di adottare un insieme di segni fonetici che servissero a fissare la pronuncia standard del mandarino.
Nel biennio 1912-1913 la Commissione elaborò un sistema di segni chiamato “zhùyīn zìmù” 注 音 字 母(“lettere fonetiche”), basato sul sistema stenografico che era stato inventato da Zhāng Bĭnglín 章 炳 麟 (1868-1936) ispirandosi all’antica “scrittura del sigillo” (篆 書 “zhuànshū”).
Il relativo progetto, reso pubblico l’11 luglio 1913, fu ufficialmente adottato soltanto il 23 novembre 1928. Questo notevole ritardo fu verosimilmente dovuto a ragioni di natura politica. Il sistema, che era stato anche chiamato 國 音 字 母 (“guóyīn zìmŭ”), cioè “alfabeto fonetico nazionale”, venne infine denominato 注 音 符 號 (“zhùyīn fúhào”), cioè “segni fonetici”, affinché non sussistesse alcun dubbio sul fatto che con esso non si intendeva creare un alfabeto che potesse sostituire i caratteri tradizionali.
Il “zhùyīn zìmŭ”, comunemente chiamato “bopomofo” ㄅㄆㄇㄈ( dal nome delle sue prime quattro lettere: bo ㄅ, poㄆ , mo ㄇ e fo ㄈ ) , fu usato nella Cina continentale fino al 1958 ed è tuttora largamente usato a Táiwān 台 灣 , dove continua ad essere ufficialmente riconosciuto.
Le lettere che compongono questo alfabeto si scrivono come segue:
ㄅ ㄆ ㄇ ㄈ ㄉ ㄊ ㄋ ㄌ ㄍ ㄎ ㄏ ㄐ ㄑ ㄒ ㄓ ㄔ ㄕ ㄖ ㄗ ㄘㄙ ㄚ ㄛ ㄜ ㄝ ㄞ ㄟ ㄠ ㄡ ㄢ ㄣ ㄤ ㄥ
b p m f d t n l g k h j q x zh ch sh r z c s a o e ê ai ei ao ou an en ang eng
ㄦ ㄧ ㄨ ㄩ
er i u ǜ
I toni sono indicati con i segni diacritici abituali.
A titolo d’esempio riporto qui la trascrizione in “bopomofo” dell’art.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza."
人人生出嚟就系自由慨,喺尊严同权利上一律平等。渠哋具有理性同良心,而且应该用兄弟间慨关系嚟互相对待
ㄖㄣˊ ㄖㄣˊ ㄕㄥ cㄏㄨ 嚟 ㄐㄧㄡˋ ㄒㄧˋ ㄗˋ ㄧㄡˊ ㄎㄞˇ , 喺 ㄗㄨㄣ ㄧㄢˊ ㄊㄨㄥˊ ㄑㄩㄢˊ ㄌㄧˋ ㄕㄤˋ ㄧ ㄌㄩ ㄆㄧㄥˊ ㄉㄥˇ 。 ㄑㄩˊ 哋 ㄐㄩˋ ㄧㄡˇ ㄌㄧˇ ㄒㄧㄥˋ ㄊㄨㄥˊ ㄌㄧㄤˊ ㄒㄧㄣ , ㄦˊ ㄑㄧㄝˇ ㄧㄥ ㄍㄞ ㄩㄥˋ ㄒㄩㄥ ㄉㄧˋ ㄐㄧㄢ ㄎㄞˇ ㄍㄨㄢ ㄒㄧˋ 嚟 ㄏㄨˋ ㄒㄧㄤ ㄉㄨㄟˋ ㄉㄞˋ
I due sistemi di trascrizione di cui dobbiamo ancora parlare prima di giungere al pīnyīn furono inventati verso la fine degli anni “20 e furono subito oggetto di un’accanita polemica politica e ideologica.
Il Gwoyeu Romatzyh (“romanizzazione della lingua nazionale”, in caratteri cinesi 國 語 羅 馬 字, in pīnyīn “guóyŭ luómăzì”) fu elaborato negli anni 1925-1926 da una commissione di undici membri, tra cui figuravano il famoso linguista Zhào Yuánrèn 趙 元 任 (1892-1982) e lo scrittore Lín Yŭtáng 林 語 堂 (1895-1976).
Esso fu adottato nel 1928 dal Ministero della Pubblica Istruzione come sistema ufficiale di romanizzazione da affiancare al già esistente “zhùyīn fúhào” 注 音 符 號, che, non utilizzando caratteri latini, si prestava poco all’uso internazionale.
Si ventilò anche l’idea di impiegarlo come alfabeto sostitutivo dei caratteri cinesi ed esperimenti in tal senso furono condotti a partire dal 1934 , ma l’inerzia del governo del Guómíndăng 國 民 棠 lasciò cadere nel nulla questa iniziativa, che fu ufficialmente abbandonata nel 1936.
Nel frattempo il Gwoyeu Romatzyh veniva ferocemente attaccato dagli intellettuali di sinistra che lo consideravano uno “ strumento di scrittura reazionario” ( Lŭ Xùn魯 迅 lo definì addirittura un “giocattolo per eruditi”).
Il sistema non riuscì pertanto mai a raggiungere un’ampia diffusione. Proibito nella Cina Comunista, rimase in uso a Táiwān sino al 1986.
Caratteristica del Gwoyeu Romatzyh è l’utilizzazione di modifiche ortografiche per indicare i toni. ( Il secondo tono, il terzo e il quarto vengono notati mediante raddoppiamenti di vocali, aggiunta di consonanti mute o alterazioni di consonanti o di dittonghi).
Ad es., partendo dalla sillaba di ,che, senza modifiche, indica la pronuncia con il primo tono ( 滴 “dī” “goccia”) si passa a dyi (敵 “dí” “nemico”), poi a dii (底 “dĭ” “fondo”) e infine a dih (地 “dì” “terra”).
La complessità delle regole e il gran numero di eccezioni ad esse contemplate hanno fatto sì che il Gwoyeu Romatzyh ,pur essendo stato per vari decenni (fino all’avvento del regime comunista) il sistema di trascrizione ufficiale, non sia mai riuscito ad affermarsi a livello popolare.
Riporto, qui di seguito, alcune frasi in Gwoyeu Romatzyh tratte dal libro “Reading in Sayable Chinese” di Zhào Yuánrèn pubblicato nel 1968, seguite dalla loro versione in caratteri cinesi semplificati, in pīnyīn e in italiano:
"Hannshyue" .de mingcheng duey Jonggwo yeou idean butzuenjinq .de yihwey. Woomen tingshuo yeou "Yinnduhshyue", "Aijyishyue", "Hannshyue", erl meiyeou tingshuo yeou "Shilahshyue", "Luomaashyue", genq meiyeou tingshuo yeou "Inggwoshyue", "Meeigwoshyue". "Hannshyue" jeyg mingcheng wanchyuan baushyh Ou-Meei shyuejee duey nahshie yiijing chernluen de guulao-gwojia de wenhuah de i-joong chingkann de tayduh. (27)
汉学的名称对中国有一点不尊敬的意味。我们听说有印度学、埃及学、汉学,而没有听说有希腊学、罗马学,更没有听说有英国学、美国学。汉学这个名称完全表示欧美学者对那些已经沉沦的古老国家的文化的一种轻看的态度。
"Hànxué" de míngchēng duì Zhōngguó yǒu yìdiǎn bùzūnjìng de yìwèi. Wǒmen tīngshuō yǒu "Yìndùxué," "Āijíxué," "Hànxué," ér méiyǒu tīngshuō yǒu "Xīlàxué," "Luómǎxué," gèng méiyǒu tīngshuō yǒu "Yīngguóxué," "Měiguóxué." "Hànxué" zhège míngchēng wánquán biǎoshì Ōu-Měi xuézhě duì nàxiē yǐjīng chénlún de gǔlǎo-guójiā de wénhuà de yìzhǒng qīngkàn de tàidù.
Il termine “sinologia”è leggermente irrispettoso nei riguardi della Cina. Si parla di “indologia”,”egittologia” e “sinologia”, ma non sentiamo mai dire “grecologia” o “romanologia” – lasciamo perdere “anglologia” o “americanologia”.Il termine “sinologia” riassume l’atteggiamento di condiscendenza degli studiosi europei e americani verso la cultura di antichi imperi caduti in rovina.
Di segno ideologico totalmente opposto a quello del Gwoyeu Romatzyh è l’altro sistema di romanizzazione elaborato verso la fine degli anni “20, il Latinxua Sinwenz (“nuova scrittura romanizzata”, in caratteri cinesi 拉丁化新文字 , in pīnyīn “lādīnghuà xīn wénzì”).
Esso ebbe origine nell’Unione Sovietica, dove, a partire dal 1928, l’Istituto Sovietico di Ricerche sulla Cina cominciò a lavorare alla creazione di un sistema di traslitterazione che permettesse di indirizzarsi alla vasta popolazione di immigrati cinesi stabilitasi nelle regioni più orientali della Siberia, in particolare a Vladivostok e a Khabarovsk.
Il progetto mirava a creare un alfabeto in grado di sostituire interamente i caratteri cinesi.
Nel 1929 il militante marxista Qū Qiūbái 瞿 秋 白 (1899-1935) e il linguista russo V.S.Kolokolov (1896-1979) idearono un prototipo di romanizzazione.
Nel 1931 un gruppo di sinologi sovietici e di studiosi cinesi trasferitisi a Mosca misero a punto il sistema chiamato Latinxua Sinwenz, che ebbe l’appoggio di importanti intellettuali cinesi quali Guō Mòruò 郭 沫 若 e Lŭ Xùn 魯 迅.
Il Latinxua Sinwenz fu sperimentato per circa quattro anni fra i 100.000 lavoratori immigrati cinesi residenti in Siberia. Venne anche pubblicato un giornale intitolato Dazhung Bao.
Durante il biennio 1940-1942 il partito comunista cinese cercò di diffondere il Latinxua Sinwenz nelle regioni settentrionali della Cina che esso controllava. Il sistema fu utilizzato per promuovere l’alfabetizzazione dei contadini. A questo scopo furono stampati più di 300 testi, in maggioranza libri scolastici e opuscoli di propaganda, con una tiratura complessiva di 500.000 esemplari.
Nel 1944 i responsabili del partito rinunciarono alla campagna di romanizzazione probabilmente per non attirarsi con iniziative troppo audaci, in un momento in cui si preparavano ad assumere il controllo di più vasti territori, l’ostilità dei sostenitori della cultura tradizionale.
Il Latinxua Sinwenz presentava, tra l'altro, le seguenti caratteristiche:
-ignorava i toni , in quanto i suoi creatori erano partiti dal presupposto che il senso dei monosillabi fosse sempre ricavabile dal contesto, ma accettava, nei casi limite, qualche compromesso ( ad es. per distinguere măi 買 , che significa comprare, da 賣 mài che significa vendere, scriveva il primo come “maai” e il secondo come “mai”);
- poteva, con le opportune modifiche, applicarsi anche ai dialetti diversi dal mandarino (in totale ne furono elaborate 13 versioni applicabili ad altrettanti distinti dialetti).
Riporto qui di seguito il testo di una canzone di propaganda in latinxua siwenz, seguito dalle versioni in caratteri cinesi e in pīnyīn nonché dalla versione italiana:
Zou zou zou 走 走 走 zŏu zŏu zŏu Marciamo, marciamo, marciamo
Womn zou zou zou 我 們 走 走 走 wŏmen zŏu zŏu zŏu Noi marciamo, marciamo, marciamo.
Womn iou cianbaiwan 我 們 是 千 百 萬 wŏmen yóu qiān băiwàn Noi siamo miliardi.
Gochu du sh womn 各 處 都 是 我 們 gèchŭ dōu shì wŏmen Noi siamo dappertutto.
Cung beibian wang nanbian 從 北 邊 往 南 邊 cóng bĕibiān wăng nánbiān Dal nord al sud.
Da dungbian dao sibian 打 東 邊 到 西 邊 dă dōngbiān dào xībiān Dall’est all’ovest.
Ai, siao pungjumn 唉 小 朋 友 們 āi xiăo péngyóumen Salve, piccoli amici.
Laidao womndi duiwuli 來 到 我 們 的 隊 伍 里 láidào wŏmen duìwŭlĭ Le nostre truppe arrivano al villaggio
Laidao womndi duiwuli 來 到 我 們 的 隊 伍 里 láidào wŏmen duìwŭlĭ Le nostre truppe arrivano al villaggio
Dagia lianxoki 大家 聯合起 dàjiā liánhéqĭ Tutti accorrono
L’esperienza maturata in decenni di esperimenti ha infine portato a quello che è oggi il sistema ufficiale di romanizzazione: il “hànyŭ pīnyīn” 汉 语 拼 音 (letteralmente :”i suoni della lingua cinese come si pronunciano”).
A questo riguardo, il creatore del pīnyīn Zhōu Yŏuguāng 周 有 光 (1906-2017) dichiarò in un’intervista: “Io non sono il padre del pīnyīn, bensì ne sono il figlio. Questo sistema è il frutto di una lunga tradizione che parte dagli ultimi anni della dinastia Qīng e giunge sino ai giorni nostri. Noi abbiamo soltanto ristudiato il problema, lo abbiamo impostato in modo diverso e siamo giunti ad una soluzione migliore.” (28)
Curiosamente Zhōu Yŏuguāng non era un linguista di formazione. All’università aveva studiato economia ed aveva poi lavorato nel settore bancario. Aveva però una certa passione per le lingue che lo aveva indotto a seguire alcuni corsi complementari di linguistica.
Dal 1945 al 1949 era stato inviato in missione dalla Sin Hua Bank 新 華 銀 行 (“xīnhuá yínháng”) negli Stati Uniti e poi a Londra, ma era ritornato in Cina nel 1949.
Nel 1955 il governo lo mise a capo della commissione incaricata di elaborare un sistema di romanizzazione per la pronuncia dei caratteri cinesi.
Le obiezioni di Zhōu, che non voleva accettare la nomina in quanto non si considerava uno specialista del settore linguistico, ma soltanto un dilettante, furono scartate dall’allora primo ministro Zhōu Ēnlái 周 恩 來 , che gli rispose: “Siamo tutti dilettanti!”.(29)
Un primo progetto di pīnyīn fu pubblicato l’11 febbraio 1956. Il sistema fu poi approvato e adottato dalla Quinta Sessione del Primo Congresso Nazionale del Popolo 第一届全国人民代表大会 (”dìyī jiè quánguó rénmín dàibiăo dàhuì”) l’11 febbraio 1958. Esso venne riconosciuto come una guida alla pronuncia, non come un sistema alternativo di scrittura della lingua cinese (la sua posizione, sotto questo rispetto, è rimasta immutata sino ad oggi), e con tale finalità fu usato nelle scuole elementari e nelle campagne promosse per l’alfabetizzazione degli adulti.
A livello internazionale, il pīnyīn cominciò a far breccia solo negli anni “80 dopo lo stabilimento di normali relazioni diplomatiche tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti, che ebbe luogo il 1° gennaio 1979.
Nell’aprile di quello stesso anno Zhōu Yŏuguāng partecipò alla conferenza tecnologica dell’ISO (“Organizzazione Internazionale per la Normazione”, in inglese “International Organization for Standardisazion”) che si svolgeva a Varsavia e propose , in nome della Repubblica Popolare Cinese, che il pīnyīn fosse riconosciuto come standard internazionale per la pronuncia della lingua cinese. Con un voto del 1982 il pinyin divenne la norma ISO 7098. Esso fu poi adottato dalle Nazioni Unite nel 1986. Dal 2009 il hànyŭ pīnyīn è stato adottato dal anche dal governo di Táiwān come sistema di romanizzazione da utilizzare a livello internazionale.(30)
Un esame dettagliato delle caratteristiche del pīnyīn richiederebbe uno studio fonetico e linguistico approfondito che esula totalmente dall’ambizione di queste note. Mi limiterò pertanto a qualche piccola osservazione.
Il pīnyīn è esclusivamente adatto a riprodurre i suoni del dialetto mandarino普 通 话 (“pŭtōnghuà”).
Non può quindi essere impiegato per riprodurre i suoni di altri dialetti , allorché i caratteri cinesi possono invece, in linea di principio, essere pronunciati in qualsiasi dialetto, sebbene taluni dialetti presentino un certo numero di caratteri specifici. Di conseguenza, sistemi analoghi al pīnyīn sono stati elaborati per consentire la trascrizione dei caratteri quando sono usati nell’ambito di altri dialetti o delle lingue parlate dalle minoranze etniche.(31)
Usando le lettere dell'alfabeto latino, che, nelle varie lingue europee, indicano a volte suoni un po' diversi, il pīnyīn è ovviamente costretto ad effettuare delle scelte che possono rendere l'avvicinamento alla pronuncia cinese più facile per i locutori di certe lingue che per quelli di altre. Sotto questo aspetto, considerata l'importanza determinante della lingua inglese a livello mondiale, non deve stupire che gli ideatori del pīnyīn abbiano tenuto conto, in larga misura, delle esigenze degli anglofoni.
Si deve poi osservare che, pur utilizzando le lettere dell'alfabeto latino, il pīnyīn è intimamente strutturato secondo le regole della lingua cinese. Ogni sua parola non va dunque scomposta in lettere (vocali e consonanti), bensì in elementi costitutivi: parte iniziale, parte finale e tono. (32) L'unica eccezione è data dalla sillaba "er" che manca di consonante iniziale o dalla lettera "r" isolata, che troviamo ad es. nel nome della città di Harbin (哈 爾 濱 "hāĕrbīn") di origine manciù.
I toni sono indicati mediante segni diacritici conformemente ad un uso già instaurato dai primi missionari. Un altro sistema, meno usato per indicare i toni è l'aggiunta di un numero alle singole sillabe ( 1 per il primo tono, 2 per il secondo, 3 per il terzo, 4 per il quarto, 5 o nessuna cifra per il tono neutro). (33)
Un'altra caratteristica del pīnyīn è l'uso dell'apostrofo per staccare, in una parola composta, la prima sillaba dalla seconda, quando la seconda cominci per vocale. Ad esempio il nome della città di 西 安 è reso con “xī’ān”. (34)
Il pīnyīn attribuisce ad alcune lettere dell'alfabeto latino valori fonetici che esse non hanno nelle lingue che usano tale alfabeto, con la conseguenza che lo studente di lingua madre straniera può talvolta compiere errori di pronuncia. Gli studiosi concordano tuttavia sul fatto che il pīnyīn rappresenta i suoni cinesi meglio di quanto non facessero il Wade-Giles e gli altri sistemi precedentemente in uso e che costituisce comunque il più efficace sistema di trascrizione dei caratteri cinesi che sia stato finora inventato.
(Giovanni Gallo 4 maggio 2017)
NOTE
(1) Il gran numero di omofoni presenti in una lingua monosillabica come il cinese rendeva facile l’applicazione di questo metodo, anche se un tempo la lingua cinese era molto più ricca di suoni e di toni di quanto non lo sia oggi.
Uno studioso dell’epoca Qīng 清 朝 , Chén Lĭ 陳 澧 (1810-1882), ha rilevato che il dizionario Guăngyùn 廣 韻 del periodo Sòng 宋 朝 presenta un paio di casi in cui il metodo 讀 若 “dúruò” non fornisce risultati. Ci si può tuttavia domandare se si tratti veramente di casi in cui era impossibile riprodurre un suono della lingua più antica o se non si possa pensare ad una distrazione dell’autore di quel voluminoso dizionario.
(2) L’apparente inesattezza del risultato, in particolare per quanto riguarda il tono, è dovuta all’evoluzione fonetica avvenuta nel corso dei secoli, la quale ha portato a mutamenti nel suono e nel tono di un gran numero di parole. Questa discrepanza è però molto utile ai linguisti perché consente loro di ricostruire la pronuncia del cinese in epoche assai lontane.
(3) Il“fănqiè” avrebbe potuto portare alla creazione di un alfabeto. Infatti, una volta stabilita la notazione di ogni singolo suono, sarebbe bastato attribuire un valore puramente fonetico al carattere che lo individuava per ottenere un vero e proprio alfabeto, come avvenne in Giappone con lo “hiragana”(平仮名). Un ostacolo sostanziale a questo sviluppo fu probabilmente costituito dal fatto che il gran numero di monosillabi omofoni presenti nella lingua avrebbero reso un testo alfabetico meno comprensibile di un testo redatto in ideogrammi. Questo ostacolo non ha potuto essere superato neppure al giorno d’oggi. In effetti il “pīnyīn” 拼 音 non può essere usato autonomamente per la pubblicazione di un testo a causa delle difficoltà di comprensione che esso tuttora comporta.
(4 ) Nell’ambito del dizionario viene usato lo stesso carattere ogni volta che deve essere indicato lo stesso suono. Ad esempio nell’indicazione della pronuncia del termine persiano “muslimān” (“musulmani”) corrispondente al termine cinese 回 回 (“huí huí”), 恩 媽 里 蘇 母 (“mŭsūlĭmāēn”), ritroviamo alcuni caratteri che abbiamo già incontrato Ciò porta alla creazione di un vero e proprio alfabeto che non riesce però ad uscire, per i caratteri intrinseci della lingua cinese, da una sfera d’applicazione strettamente limitata alle parole straniere.
(5) Si tratta del Manoscritto 720 ,appartenente alla collezione di William Petty, primo marchese di Landowne,(1737-1805) , acquistata dal British Museum nel 1807. Tale manoscritto, intitolato “Voyage en Italie” contiene, secondo il catalogo dela libreria, il resoconto di alcuni viaggi compiuti da letterati francesi in Italia tra il 1574 e il 1578. Il testo qui menzionato si trova nel foglio 279.
(6) Il cardinale Marcello Cervini fu papa,per un brevissimo periodo, col nome di Marcello II°, dal 9 aprile 1555 al 1° maggio dello stesso anno. In precedenza era stato, fra l’altro, a partire dal 1548, responsabile della Biblioteca Vaticana. Sul modo in cui l’”alfabeto cinese” pervenne nelle sue mani si possono solo fare congetture.
(7) I caratteri dell’alfabeto “hiragana” ひらがな figurano nell’ “iroha いろは, una breve poesia attribuita al monaco Kūkai 空 海 (774 d.C.-835 d.C.), fondatore della setta buddhista Shingon 真 言 宗, che è considerato l’ inventore di tale alfabeto. Gli studiosi moderni ritengono invece che la poesia, la cui prima menzione risale al 1079 d.C., sia stata composta in epoca successiva. Poiché contiene tutti i suoni sillabici della lingua giapponese (ciascuno dei quali vi è menzionato una singola volta) essa è normalmente usata come sillabario nelle scuole elementari. L’idea che un analogo sillabario potesse esistere anche in Cina non era dunque da scartare a priori ,anche se si constatò in seguito che non corrispondeva alla realtà.
(8) Lo “Shàngdàrén” 上 大 人è una filastrocca di origine molto antica, i cui caratteri, graficamente assai semplici, erano usati per insegnare a scrivere ai bambini . Essa recita: (上 大 人 孔 乙 已 化 三 千 七 十 士 尔 小 生 八 九 子 佳 作 仁 可 知 礼 也 ”shàng dà rén kŏng yĭ jĭ huà sān qiān qī shí shì ĕr xiăo shēng bā jiŭ zĭ jiā zuò rén kĕ zhī lĭ yĕ). Anche il suo contenuto è elementare: “Il ministro signor Confucio. Tremila studenti, settanta discepoli. La sua discendenza: otto o nove figli. È bello praticare la virtù dell’umanità. Si può anche conoscere l’educazione”.
In alcuni aneddoti relativi a personaggi del buddhismo”chán” 禅 lo “Shàngdàrén” è menzionato come un testo importante che può condurre all’”illuminazione”, ma, come si sa, i saggi “chán” coltivavano l’arte del paradosso e quindi potrebbero semplicemente aver voluto dire che, essendo l’”illuminazione” qualcosa che prescinde dagli sforzi del singolo, la probabilità di raggiungerla recitando una filastrocca infantile è pari se non superiore a quella di ottenerla leggendo tutti i ponderosi volumi della dottrina. Se si volesse invece interpretare tali aneddoti in modo “serio”, si potrebbe osservare che lo “Shàngdàrén”, primo passo sulla via della conoscenza, può anche essere considerato come il primo passo nella comprensione del mondo e quindi come il primo passo sulla via dell’”illuminazione”.
(9) Il manoscritto, archiviato sotto la rubrica Jap.-Sin. I 198, fu individuato nel 1934 dallo studioso gesuita Pasquale d’Elia che redasse al riguardo la seguente nota: “Questo è il dizionario europeo-cinese fatto da Ruggieri-Ricci.È il primo del genere. La romanizzazione è italiana, probabilmente del Ricci. Spesso scrittura del Ruggieri. Al principio c’è la prima catechesi al 1583-1588 e alcune nozioni di cosmographia. Deve essere di 1583-1588. Molto prezioso. 6.10.34. P.d’Elia S.J.”
10) Michele Ruggieri ( 1543-1607) fu inviato nel 1579 a Macao, dove si mise immediatamente a studiare il cinese. Fu raggiunto da Matteo Ricci (1552-1610) nel 1582. Nel 1583 Ruggieri e Ricci riuscirono ad entrare in Cina stabilendosi a Zhàoqìng 肇 庆 presso Canton 廣 州 (“Guăngzhōu”). Ruggieri rientrò in Europa nel novembre del 1588 e, a causa della sua malferma salute, non fece più ritorno in Cina. Ricci rimase in Cina ventisette anni e imparò perfettamente la lingua cinese.
11) Il dizionario portoghese-cinese va dal foglio 32a al foglio 156, di un manoscritto composto di 189 fogli in carta cinese delle dimensioni di 23 cm x 16,5 cm. Esso non reca né titolo né autore né data, ma una serie di indizi inducono a ritenere che sia stato composto tra il 1583, data d’inizio dell’attività dei due missionari in Cina, ed il 1588, data del rientro di Michele Ruggieri in Europa. Depositato negli Archivi Vaticani e rimasto ignoto per parecchi secoli, esso fu riscoperto nel 1934 ed è stato pubblicato soltanto nel 2001.
12) In una lettera del 29 agosto 1595, indirizzata al confratello Duarte de Sande, che si trovava allora a Macao, Matteo Ricci racconta:
“Un giorno alcuni titolari del diploma di primo grado mi invitarono ad un ricevimento. Accadde allora un fatto che mi rese famoso fra tutti i letterati della città. Si venne infatti a parlare del sistema che io avevo creato per ricordarmi gli ideogrammi cinesi.Poiché ero in cordiali rapporti con questi letterati e desideravo conquistare la loro stima, nonché mostrar loro la mia conoscenza del cinese, e poiché mi rendevo conto che ciò poteva essere importante per il servizio e e la gloria di Nostro Signore e per i nostri progetti missionari, li invitai a scrivere su un foglio un gran numero di caratteri senza alcun criterio od ordine prestabilito, dicendo loro che, dopo averli letti una sola volta, sarei stato in grado di ricordarli tutti nella precisa successione in cui erano stati scritti. Dopo che essi ebbero scritto molti caratteri senza alcun ordine prestabilito, io li lessi una sola volta e fui poi in grado di ripeterli nella loro esatta successione. Ciò li lasciò esterrefatti e pieni di ammirazione per le mie capacità. Per impressionarli ancora di più cominciai allora a recitare la stessa lista di caratteri in ordine inverso, risalendo dall’ultimo al primo. Non riuscivano a capacitarsene. Mi pregarono subito di insegnar loro il meraviglioso sistema mnemonico grazie al quale potevo ottenere tali risultati. La mia fama si diffuse rapidamente tra i letterati e tanti furono i diplomati e i notabili che mi resero visita per chiedermi di insegnar loro questa scienza che ne persi presto il conto. Mi volevano come loro insegnante, mi trattavano con rispetto e mi offrivano ricompense come se fossi un maestro”.
(Il testo originale di questa lettera si trova in Opere storiche del P. Matteo Ricci S.I., edite a cura del Comitato per le onoranze nazionali con prolegomeni note e tavole di P. Pietro Tacchi Venturi S.J., 2 voll; I: I Commentarj della Cina, dall’autografo di Matteo Ricci, II: Le lettere dalla Cina, 1580-1610, con appendice di documenti inediti, Macerata, stab. tip. F. Giorgetti, 1911-1913.)
13) La romanizzazione “pa” si riferisce ,per esempio, tanto al suono “bā” 巴 quanto al suono “pà” 怕. La romanizzazione “ta” si riferisce tanto a “dà” 大 quanto a “tā” 他.
14) Si rimanda, ad esempio, alla lettera c dell’alfabeto italiano per la romanizzazione di caratteri che contengono suoni abbastanza diversi: 看can (“kán”), 出 cio (“chŭ”), 苦 cu (“kŭ”). Si fa ricorso alla sc per rendere il suono iniziale di 水 scioj (“shuĭ”) e di 十 shie (“shí”) e alla z per rendere il suono di 子 zi (zĭ). S’utilizza invece l’ortografia portoghese per altri suoni. Ad esempio, viene usata la ç per rendere il suono iniziale di 草 çau (“căo”) ,mentre si ricorre alla g per 入 ge (“rù”) , 日 gi (“rì) e 肉 gio (ròu). La m rende il suono finale di 堂 tam (“táng”) e 光 quam (“guāng”) ,mentre.la tilde ~ (sovrapposta alla vocale) o l’aggiunta di una consonante consente di riprodurre i suoni finali di 東 tũ o tun (“dōng”) e 天 tiẽ o tien (“tiān”).
15) Gli esempi di cui sopra sono tratti dal Dicionário Português-Chinês , manoscritto redatto dai missionari Ruggieri e Ricci, pubblicato nel 2001 con introduzione e commento di John W.Witek S.J. Per un esame approfondito degli aspetti fonologici si rinvia alla bibliografia specialistica.
16) Non sono riuscito ad individuare con certezza il primo carattere manoscritto del termine cinese. Il carattere che più si avvicina per la pronuncia alla romanizzazione “zen” è 甑 ("zèng"), che significa "recipiente per bollire il riso", "vasetto". Il senso preciso del termine potrebbe perciò essere "boccetta di profumo".
17) Ho qui ritradotto da una versione portoghese l'originale italiano, non reperibile su Internet. Il testo seicentesco sarebbe di certo più colorito, ma richiederebbe probabilmente ulteriori note esplicative.
18) L'ordine alfabetico a cui si riferisce il titolo è necessariamente l'ordine alfabetico dei vocaboli romanizzati.
19) Nell'edizione 1934 delle " Notices Biographiques et Bibliographiques sur les Jesuites de l'ancienne Mission de Chine, 1552-1773"),di Louis Pfister, il curatore (probabilmente il padre Henri Boucher SJ) aggiunse alla sezione "Bibliographie" un "Catalogue MS de Pékin" (vol. II, p.996). In una nota a piè di pagina si menzionava che i padri Henri Bernard SJ e C.M. Van der Brand avevano scoperto l'anno precedente, nella Biblioteca Nazionale di Pechino, una lista manoscritta di missionari gesuiti in Cina, da Francesco Saverio (1552) a Christian Herdtricht (1660), allegata a un dizionario cinese-portoghese senza titolo né autore né data di pubblicazione.
Successive ricerche condotte partendo da questa informazione non hanno finora consentito di ritrovare l'opera.
Occorre tuttavia osservare che potrebbe anche trattarsi di altri dizionari. Si sa infatti che il padre Gaspar Ferreira SJ (1571-1649) compilò un "Diciónario da lingua chinesa e portuguesa" e che un altro dizionario cinese-portoghese fu composto dal Padre Álvaro Semedo SJ (1586-1668).
(Curiosamente, impostando su Internet il tema "Ricci-Cattaneo Chinese-Portuguese Dictionary" ho trovato la seguente menzione: "Martayan Lan Rare Books. Unique Survival. Early Missionary Chinese Dictionary on Rice Paper. Lazzaro Cattaneo and Matteo Ricci's Chinese-Portuguese Dictionary".Una rapida ricerca condotta sui cataloghi on line della libreria antiquaria Martayan Lan di New York non ha tuttavia prodotto alcun risultato").
20) Le indicazioni qui riportate sono superficiali e sommarie. Per uno studio approfondito del sistema di romanizzazione adottato da Matteo Ricci occorre consultare la bibliografia specialistica.
21) La traslitterazione di questo brano in pīnyīn :
...Zé yuē:” Tăng shí tiān zhŭ, shĭ wŏ bù hăi bù chén”. Tiān zhŭ shĭ zhī. Xíng shì wàng mĕng fēng fā bō láng. Qí xīn pián níng ér jiàn chén. Tiān zhŭ yuán qí shŏu yuē: “Xiăo xīn zhè hé yí níng hú?” Dŭ xīn dào zhī rén zhŏng ruò shuĭ
risulta molto diversa soprattutto per quanto riguarda i toni. Occorre però ricordare che la lingua usata dal Ricci nei suoi scritti cinesi è la lingua letteraria della regione di Nanchino agli inizi del 17° secolo, mentre il pīnyīn si fonda sulla pronuncia attuale del mandarino quale si è sviluppata negli ultimi secoli nella regione di Pechino.
22) Il testo di Matteo Ricci non è una citazione letterale, ma piuttosto un riassunto del testo evangelico. Vi si legge infatti:
"...egli (Pietro) disse: “Se tu sei il Signore, ordinami di camminare sull’acqua senza andare a fondo”. Il Signore glielo ordinò. Mentre camminava, il vento prese a soffiare sulle onde. Pietro si impaurì e cominciò ad affondare. Il Signore gli tese la mano per aiutarlo a risalire sulla barca e gli domandò:”Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”L’uomo di fede salda cammina sulla fragile acqua.”
23) Secondo l'uso del tempo in cui fu scritto, il testo va letto colonna per colonna , da destra verso sinistra e dall'alto verso il basso.
24) Altri metodi come la "church romanization", usata dai missionari presbiteriani del 19° secolo per traslitterare i dialetti della Cina Meridionale, la romanizzazione ideata dal famoso sinologo scozzese James Legge (1815-1897), la trascrizione dell`Ecole Française d'Extrême-Orient (E.F.E.O) del 1902, il "Wade semplificato", elaborato dal linguista svedese Olof Bertil Anderson nel 1967, usano invece la lettera h per indicare l'aspirazione.
25) Si riporteranno qui soltanto una o due delle principali caratteristiche dei vari sistemi di romanizzazione. Per un esame più approfondito si rimanda alla letteratura specializzata.
26) Il sistema rimase in vigore a Táiwān 台 湾 fino al 2002, quando fu sostituito dal "tōngyóng pīnyīn" 通 用 拼 音 , che, nel 2009, fu a sua volta rimpiazzato dal "hànyú pīnyīn" 汉 语 拼 音.
27) Le lettere colorate mostrano in qual modo sono indicati i diversi toni.
28) Questa dichiarazione figura in un’intervista rilasciata alla giornalista britannica Tania Branigan, pubblicata su “The Guardian” il 21 febbraio 2008.
29) L’aneddoto è riportato in un articolo della giornalista Margalit Fox intitolato “Zhou Youguang, who made writing Chinese as simple as ABC ,dies at 111”, pubblicato su “The New York Times” il 14 gennaio 2017.
30) Il riconoscimento del “hànyú pīnyīn” a Táiwān non è tuttavia completo. Per l’insegnamento della pronuncia nelle scuole e per l’immissione dei caratteri nei computer si usa ancora il “bopomofo”. Inoltre, per ragioni di carattere politico, nelle città e nei distretti amministrati dal Partito Democratico del Progresso 民主進步黨 ( mínzhŭ jìnbù dăng”), che, contrariamente al Guómíndăng 國 民 黨, è fautore di una distinta identità taiwanese, viene ancora usata una forma modificata di pīnyīn, il “tōngyóng pīnyīn”, “letteralmente “pronuncia d’uso comune”, ideata nel 1998 da Yú Bóquán 余伯泉 , che costituì dal 2002 al 2008 il sistema ufficiale di romanizzazione adottato a Táiwān.
31) Va qui menzionata in particolare la cosiddetta “romanizzazione del Guāngdōng” (广 东 拼 音 方 案 “guăngdōng pīnyīn fāng’àn”), termine con cui ci si riferisce a quattro diversi sistemi di traslitterazione pubblicati nel 1960 dal Dipartimento Provinciale dell’Educazione del Guangdōng con riferimento ai seguenti dialetti: cantonese (广 东 话 “guăngdōnghuà”), teochew (潮 州 话 “cháozhōuhuà”), hakka (客 家 话 “kèjiāhuà”) e hainanese (海 南 话 “hăinánhuà”).
32) Si potrebbe qui ricordare come prototipo del pīnyīn il sistema di notazione della pronuncia detto 反切 (“fănqiè”) elaborato dai monaci buddhisti nei primi secoli della nostra era.
33) A titolo di pura curiosità ricordiamo che i toni possono anche essere indicati mediante una diversa colorazione della sillaba, ma si tratta di un metodo poco pratico, che potrebbe essere utile solo in casi particolari, ad es. se impiegato a fini didattici.
34) Tale prassi aiuta ovviamente anche a distinguere il significato del termine, ma la sua prima utilità è quella di facilitare la pronuncia esatta indicando con chiarezza che ci troviamo di fronte a due distinte sillabe e non ad un monosillabo come, nel caso specifico, potrebbe ad es. essere 先 ("anteriormente","prima") reso con "xiān".
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