Politica
The Italian Job, “così la notte elettorale ho spostato voti da Trump a Biden”
Clamorosa testimonianza giurata di Arturo D’Elia, ex dipendente di Leonardo S.p.A. che sostiene di poter dimostrare la frode di Usa 2020. Le carte in mano alla Procura di Napoli, mentre i media hanno già avviato la macchina del fango
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Tra i nomi che fioccano in questi giorni spicca The Italian Job, come il film che racconta la rapina del secolo tra i canali di Venezia. Quella su cui sta indagando la Procura di Napoli, invece, potrebbe essere la truffa del millennio, e potrebbe essere stata orchestrata (anche) in via Veneto. Si tratta della frode elettorale nelle Presidenziali americane, la cui pistola fumante potrebbe essere (o arrivare) nella disponibilità dei magistrati partenopei. Merito dell’esperto informatico nostrano che avrebbe materialmente eseguito la manipolazione dei suffragi a vantaggio del candidato democratico Joe Biden. E contro il quale i media mainstream hanno già avviato l’immancabile macchina del fango.
L’Affidavit della discordia
Lo scorso 6 gennaio, in contemporanea con i vergognosi incidenti di Capitol Hill, l’avvocato Alfio D’Urso diffondeva la deposizione giurata di un suo assistito. Si chiama Arturo D’Elia, ed è un ex dipendente di Leonardo S.p.A., società italiana leader nei settori della difesa e delle tecnologie aerospaziali. E il cui azionista di maggioranza è il Ministero dell’Economia.
D’Elia è agli arresti per cybercrimini commessi a danno della stessa azienda tra il 2015 e il 2017. In quello che in gergo si definisce General Affidavit, ha affermato di aver reso un’importante testimonianza sotto giuramento davanti a un giudice napoletano.
«Dichiara che il 4 novembre 2020, su istruzione e direzione di persone statunitensi che lavorano presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma, ha intrapreso l’operazione per trasferire i dati delle elezioni statunitensi del 3 novembre 2020 dal significativo margine di vittoria di Donald Trump a Joe Biden in un certo numero di Stati in cui Joe Biden stava perdendo. L’imputato ha dichiarato che stava lavorando nella struttura di Pescara della Leonardo S.p.A. e ha sfruttato le capacità crittografiche della guerra informatica militare per trasmettere voti scambiati tramite il satellite militare della Torre del Fucino a Francoforte, in Germania. L’imputato giura che i dati in alcuni casi potrebbero rappresentare più del totale degli elettori registrati».
Inoltre, «l’imputato ha dichiarato che intende testimoniare tutti gli individui e le entità coinvolte nel passaggio dei voti da Donald Trump a Joe Biden quando sarà in totale protezione per se stesso e la sua famiglia. L’imputato afferma di aver assicurato in una località segreta il backup dei dati originali e dei dati scambiati».
The Italian Job
Il documento è stato rilanciato da Nations in Action, un’organizzazione nata per indagare sulle eventuali irregolarità di Usa 2020. La cui fondatrice, Maria Zack, ha cercato di ricostruire – e spiegare – i vari passaggi di un’operazione che sarebbe stata concepita addirittura nel 2016. Quando alla Casa Bianca sedeva ancora Barack Obama e a Palazzo Chigi Matteo Renzi – benché anche l’attuale Premier Giuseppe Conte sarebbe «molto impegnato e coinvolto».
Pare che il piano iniziale dovesse essere attuato a Francoforte, la città in cui sono custoditi i server di Dominion, il controverso software utilizzato nelle Presidenziali americane. Tuttavia, il vantaggio del tycoon sarebbe stato tale da rendere inutile lo spostamento dei voti.
L’ambasciata di via Veneto avrebbe quindi sollecitato l’intervento di D’Elia, che avrebbe usato la tecnologia di Leonardo per generare nuovi algoritmi e caricarli su Dominion. Pare sia per questo che, nella notte elettorale, il conteggio dei suffragi s’interruppe all’improvviso in alcuni swing states in cui l’attuale Potus era largamente in vantaggio. E che, alla ripresa dello spoglio, virarono verso Sleepy Joe in modo tanto rapido da destare sospetti.
Sospetti sui quali tutti dovrebbero avere l’interesse a far luce. I Repubblicani, perché si sentono illegalmente defraudati della vittoria. I Democratici, per allontanare qualsiasi ombra dalla presidenza di Biden. Oppure qualcuno ha paura della verità?
I media mainstream e The Italian Job
Va da sé che questo nuovo The Italian Job ha suscitato le reazioni pavloviane dei prosseneti del Nuovo Ordine Mondiale. Il che non sorprende più di tanto, considerando che, come rilevato dalla letteratura sociologica, l’80% dei cronisti ha un orientamento ben preciso. Quello, per intenderci, che in caso di conflitto tra realtà e ideologia sceglierebbe comunque quest’ultima.
Non che, intendiamoci, l’Affidavit di D’Elia non susciti dubbi. È lecito chiedersi, per esempio, come mai una deposizione giurata rilasciata da un italiano sia stata scritta in inglese. Oppure, per quale motivo gli hacker di stanza in Germania non abbiano agito autonomamente, senza dover passare per il Belpaese.
Perplessità legittime, naturalmente. Il punto, però, è che non spetta al cosiddetto “quarto potere” scioglierle, soprattutto ora che preferisce il ruolo di cagnolino da compagnia del potere vero. E vale anche, se non soprattutto, per i social network, che nel loro recente delirio di onnipotenza ritengono addirittura di poter decretare chi ha diritto di parola. Il pogrom virtuale nei confronti di The Donald prima, e di Parler poi, la dice lunga sul concetto di democrazia in voga nella Silicon Valley.
Posto, quindi sono. E per essere cancellati da questa società dell’immagine è sufficiente scostarsi dalla narrazione politically correct.
Tuttavia, come ha rimarcato Guido Scorza, membro dell’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali, «in democrazia chi ha diritto di parola devono deciderlo giudici e autorità». Non delle piattaforme Web.
Ebbene, si dà proprio il caso che ci sia un’inchiesta in corso. Se dunque vi siano delle evidenze relative a questo The Italian Job, come spergiura D’Elia, e quanto siano attendibili, saranno i magistrati a stabilirlo. Sempre che i manutengoli del pensiero unico non abbiano obiezioni, ça va sans dire.
Mirko Ciminiello è nato a Rimini nel 1985 e vive a Roma, dove si è laureato in Chimica (triennale) e Chimica Organica e Biomolecolare (specialistica) alla Sapienza, in Scienze della Comunicazione (triennale) e Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione (magistrale) a Roma Tre. Giornalista, attore per hobby, collabora con l'associazione Pro Vita e Famiglia ed è autore di 9 libri, di cui due in inglese.
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Cultura
Priorità politically correct, i deliri da pensiero unico che si fanno tragedia
Se il sonno della ragione genera mostri, il suo letargo li manda al potere, come la Pelosi che negli Usa vuole abolire “padre” e “madre”. Alla faccia di bazzecole quali pandemia, Recovery Plan e democrazia agonizzante (e non da ieri)
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5 giorni fail
9 Gennaio 2021Ci sono le priorità – quelle autentiche -, e poi ci sono le priorità politically correct. Che, ça va sans dire, sono un farneticante libro degli incubi che un tempo avrebbe meritato ai suoi autori una camicia di forza. Oggi, però, viviamo in una società al contrario. Una società in cui, come aveva profetizzato lo scrittore inglese G.K. Chesterton, bisogna sguainare le spade “per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”.
Le priorità autentiche
Ci sono alcune quisquilie di cui si dibatte, anche animatamente, ai quattro angoli del pianeta. Una, tanto per partire dall’orticello comunitario, è la vexata quaestio del Recovery Plan, di cui si cominciano a svelare gli altarini. Dal nulla, infatti, il principale quotidiano economico nostrano si è lasciato sfuggire l’espressione “riforme strutturali” che, tradotto dal burocratese, significa ennesima euro-fregatura per l’Italia. Anche se poi, forse anche per l’imbarazzo di aver scritto Generetion, la testata di via Monte Rosa ha (lievemente) corretto il tiro.
Su scala globale, spicca invece la pandemia da Covid-19, ormai sotto i riflettori – ahinoi – da oltre un anno. Mentre impazzano le discussioni sul vaccino, l’Oms si era finalmente decisa a indagare sulle origini del virus. Peccato che la Cina abbia negato l’accesso al team dell’agenzia Onu per la salute diretto a Wuhan – laddove tutto è cominciato. Ma guai a insinuare che Pechino abbia qualcosa da nascondere…
Soprattutto, non ditelo agli intelliggenti con-due-gi, quelli che si accorgono dei pericoli per la democrazia a ideologie alterne. Dimenticandosi, per dire, che il problema non nasce con i vergognosi incidenti di Washington D.C., e nemmeno con la frode elettorale del novembre scorso. Le radici profonde si trovano nell’ignobile censura perpetrata da mesi dai giganti della Silicon Valley contro le voci pubbliche che osavano scostarsi dalla narrazione dei suddetti. E culminata nella purga social ai danni del Presidente americano Donald Trump, come se il diritto di parola di chicchessia fosse nella disponibilità di Mark Zuckerberg o Jack Dorsey.
Va da sé che qui i manutengoli del politicamente corretto diventano curiosamente afoni, ma non bisogna disperare. Magari ritroveranno la voce d’incanto, come quando si sono accorti fuori tempo massimo dell’importanza del binomio “legge e ordine”, tanto denigrato nei giorni del teppismo targato BLM.
E poi ci sono le priorità politically correct
E poi ci sono le priorità politically correct. Perché è ovvio che, di fronte a queste “bazzecole”, le questioni vere sono i nomi che uno storico pastificio sceglie per i suoi prodotti. O il fatto che film girati 50 o più anni fa, come Grease, dovrebbero riflettere la sensibilità degli spettatori di oggi. Amenità, quest’ultima, che ha esasperato perfino certi pseudo-intellettuali de noantri, segno che la pazienza sta davvero finendo.
Effetto simile, del resto, lo ha avuto la ridicola trovata del pastore protestante (e deputato democratico) statunitense Emanuel Cleaver. Il quale ha pensato male di concludere la preghiera di apertura dei lavori del Congresso Usa con le parole «Amen and awoman». Che secondo lui dovrebbero indicare neutralità di genere, mentre al massimo ne dimostrano le lacune linguistiche, oltre ad avvicinarlo alla Cei dei recenti, assurdi cambiamenti liturgici.
L’aspetto peggiore è che questo non è nemmeno il nadir d’Oltreoceano, di cui può fregiarsi (si fa per dire) Nancy Pelosi, speaker dem della Camera. La quale si è messa in testa di abolire termini come “padre” e “madre”, o pronomi come “lui” e “lei”, che avrebbero la colpa di non essere abbastanza inclusivi.
Pare quasi di risentire Peppone che sbraita contro don Camillo per via dell’orologio del popolo. «Se è in ritardo sul popolo, tanto peggio per il Sole e tutto il suo sistema!» Peccato che natura e biologia non facciano sconti. E, come recita un aforisma attribuito a Platone, “nessuno è più odiato di chi dice la verità”.
Questione di priorità politically correct. D’altronde, se il sonno della ragione genera mostri, il suo letargo li fa prosperare, e addirittura concede loro posizioni di potere. Che poi è la vera, grande tragedia del mondo contemporaneo.
Politica
Misure anti-Covid, ancora un (vano) appello di Conte alla responsabilità
Il Premier invoca coesione e lungimiranza: legittimo ma molto complicato, essendo alle prese, da un lato, con le inefficienze della sua squadra, e dall’altro con le intemperanze della parte renziana della maggioranza
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8 Gennaio 2021Test per l’esame di giornalismo sulle misure anti-Covid, vecchie e nuove. Il candidato consideri che:
a) Per giovedì 7 e venerdì 8 gennaio il Governo rosso-giallo ha disposto una zona gialla rafforzata. Perché una arancione kaki avrebbe potuto essere equivocata.
b) In ogni caso è già in cantiere una nuova stretta, che ripristinerà le fasce clinico-cromatiche in base all’indice di contagio. A cui, continuando di questo passo, seguirà presto il medio.
c) Intanto Domenico Arcuri, Commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, ha inviato agli ospedali lombardi oltre 46mila siringhe troppo grandi per somministrare il vaccino anti-Covid. Tanto per smentire il detto popolare per cui conta l’uso, e non la misura.
Oltre le misure anti-Covid stricto sensu
d) Il bi-Premier Giuseppe Conte ha affermato che le sfide che l’Italia ha di fronte, in primis il Recovery Plan, richiedono «piena dedizione, lucida determinazione, intelligente lungimiranza. Una premessa imprescindibile è rafforzare la coesione della maggioranza e, quindi, la solidità alla squadra di Governo. Se percorreremo questo cammino con senso di responsabilità, avremo la più salda garanzia di andare nella direzione giusta». Tradotto dal volturarappulese, gli servono dei parlamentari “responsabili”.
e) La compagine italoviva ha prontamente replicato che, anche se «il post del presidente Conte va nella direzione delle cose che abbiamo chiesto sul Recovery, attendiamo di leggere le carte». Per guadagnare tempo, è già stato allertato Paolo Fox.
f) Secondo il Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, «se le ricerche ci dicono che nella scuola c’è stato solo il 2% dei focolai, forse è anche merito dei nuovi banchi». Non foss’altro perché hanno più rotelle di certi esponenti dell’esecutivo.
g) La titolare dei Trasporti Paola De Micheli avrebbe invece sostenuto che «è impossibile sapere come il virus si diffonde su pullman e bus». E niente, questa fa già abbastanza ridere (o piangere) di suo.
Ciò posto, commenti il candidato l’amarezza con cui Conte ha dichiarato che «la Dea bendata si è dimenticata di noi». Senza necessariamente considerare che il Conte in questione non è Giuseppi, bensì l’allenatore dell’Inter Antonio.
Politica
Piano vaccini, Arcuri è un anti-Re Mida: trasforma ciò che tocca in fango
Il Commissario per l’emergenza coronavirus ammette i ritardi sui centri vaccinali, e intanto invia siringhe troppo grandi per i flaconi. Dopo i flop su mascherine, tamponi e banchi a rotelle, è la Waterloo del novello Napoleone
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5 Gennaio 2021Se era sul piano vaccini che si doveva “parere la sua nobilitate”, Domenico Arcuri, Commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, non ha tradito le aspettative. Disastro doveva essere, e disastro (per ora) è. A ennesima conferma che il Nostro è sì un esperto, ma solo in ritardi e inefficienze.
Il disastro del piano vaccini
«L’elenco completo dei centri designati per la somministrazione del vaccino contro il coronavirus è ancora in divenire, ragion per cui non si dispone ancora di un’elencazione dei centri vaccinali». Così riconobbe Arcuri, rispondendo a una richiesta di accesso civico generalizzato da parte di ZetaLuiss, testata della Scuola di Giornalismo dell’Università romana Luiss.
Un’ammissione che, forse perché arrivata una settimana dopo il tanto strombazzato V-day, ha curiosamente suscitato una ridda di ironie. Come quella del leader leghista Matteo Salvini, che ha praticamente dato al manager del “Commissario a sua insaputa”.
In realtà, probabilmente come definizione è troppo tranchant, visto che Der Kommissar ha già inviato sieri e siringhe agli enti locali. Anzi, ha perfino comprato (a un prezzo doppio) dei particolari dispositivi di precisione per ricavare il 20% di antidoto in più da ogni flacone Pfizer. Se poi le siringhe sono troppo grandi per le fiale – e quindi inutilizzabili -, mica può essere colpa di Arcuri, no?
Sarebbe come dargli addosso per i padiglioni dedicati alla somministrazione del vaccino, quelli a forma di fiore. Che saranno anche pacchiani e inutilmente costosi, ma li ha pvogettati l’avchistav Stefano Boeri – pavdon, Boevi. E poi, quella vaccinale è una campagna: o no?
L’anti-Re Mida
Oltretutto, manco a dire che uno non se lo aspettava. Non sosteneva forse la grandissima Agatha Christie che «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova»? Ebbene, da questo punto di vista il supercommissario sovrabbondava anche prima del piano vaccini.
In principio, infatti, erano state le mascherine (ri)acquistate dalla Cina (cui le aveva regalate Giggino il Munifico) eppure bloccate nel Paese del Dragone. Poi era stata la volta dei 5 milioni di tamponi da distribuire alle Regioni, che in realtà erano solo i cotton fioc senza i reagenti. Infine, il capolavoro (condiviso col Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, cui non vorremmo mai sottrarre “meriti”) dei banchi a rotelle giunti a destinazione solo a scuole già richiuse. Anche se qui si potrebbe parlare di eterogenesi dei fini.
Arcuri, insomma, è una specie di anti-Re Mida che trasforma in fango tutto ciò che tocca. Ma poiché, parafrasando il dettato evangelico, non avrebbe alcun potere se non gli fosse stato dato dall’alto, la “colpa più grande” non è la sua. Per informazioni, citofonare Palazzo Chigi, o anche Lungotevere Ripa.
Anche perché, notoriamente, Der Kommissar viene paragonato a Napoleone Bonaparte, nome sovente associato a Waterloo. Serve aggiungere altro?
Cultura
Grande Fratello di Stato, così si svende la privacy per 150 € e un cellulare
Dopo il cashback, il Governo vara il bonus smartphone col pretesto di digitalizzare il Paese: così potrà tracciare le spese e avrà accesso a dati sensibili come l’Iban, ma senza le (assurde) polemiche che accompagnano l’app Immuni
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24 Dicembre 2020Benvenuti al Grande Fratello di Stato. Gentile omaggio del bi-Premier Giuseppe Conte, assieme agli altri due regali di Natale, il cashback (sempre di Stato) e il cellulare in comodato d’uso. Strumenti che permetteranno un tracciamento che non sarebbe mai stato possibile con Immuni – l’app anti-Covid di contact tracing criticata per le presunte questioni di privacy. A quanto pare, però, tutto ha un prezzo: e quello della libertà è pari a 150 euro.
Il cashback e il bonus smartphone
Gli antichi Romani solevano dire il popolo desidera unicamente panem et circenses, e il motto deve aver dato un’idea al Governo rosso-giallo. Il quale, conscio delle difficoltà economiche (inclusi i ristori che secondo Fipe Confcommercio «risultano inadeguati e insufficienti»), ha optato per le armi di distrazione di massa.
Così, dall’8 dicembre è partito il cosiddetto cashback (che vuol dire “rimborso”, ma perché usare la lingua di Dante quando ci sono gli anglicismi?). Un meccanismo che renderà a quanti effettueranno, entro il 31 dicembre, almeno 10 pagamenti elettronici fino a un massimo di 1.500 euro, il 10% della spesa. Si potranno quindi intascare, al massimo, 150 euro, e le stesse specifiche permarranno anche quando lo strumento sarà a regime, dal 1° gennaio 2021. La sola differenza è che a quel punto avrà cadenza semestrale, e si dovranno concludere almeno 50 operazioni cashless – cioè senza usare il contante.
Una particolarità è che gli acquisti, seppur in formato digitale, devono essere fatti nei negozi fisici. Un incentivo allo shopping in presenza che incredibilmente ha scatenato le reazioni pavloviane di Ministri (come quello degli Affari regionali Francesco Boccia) che lamentavano assembramenti. Anche se era stato lo stesso esecutivo, benché in maniera preterintenzionale, a favorirli.
Schizofrenia governativa a parte, l’iniziativa fa parte del Piano Italia Cashless, che dovrebbe «favorire lo sviluppo di un sistema più digitale, veloce, semplice e trasparente». Lo stesso principio alla base dello smartphone gratis per un anno – però per un singolo componente di nuclei familiari con Isee inferiore ai 20mila euro l’anno.
Lo hanno chiamato “kit digitalizzazione”. Di fatto, è un ulteriore passo verso il Grande Fratello di Stato.
Il Grande Fratello di Stato
In entrambi i casi sopracitati, il nodo (nonché il massimo comun divisore) è l’app Io. Lo strumento della Pubblica Amministrazione necessario per usufruire del cashback e che verrà installato di default nei telefoni statali, assieme all’abbonamento a due giornali – immaginiamo quali.
Di quest’ultimo cadeaux potrebbe comunque usufruire l’ex Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Che, risultata positiva al Covid-19, aveva candidamente confessato di non essere riuscita a scaricare Immuni perché «ho avuto un problema con il cellulare», poverina.
Non dev’essere stata l’unica, considerando che in sei mesi i download dell’app creata per contrastare la diffusione del coronavirus sono stati meno di 10 milioni. Cifra che la collega Io ha praticamente eguagliato in pochi giorni – un fatto che ha suscitato l’amara ironia di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE.
A dispetto delle leggende metropolitane, infatti, Immuni non conserva né comunica dati sulla geolocalizzazione, e associa i telefoni a codici anonimi. Laddove Io richiede dati sensibili come l’Iban, e traccia per definizione qualsiasi spesa. Anche attraverso lo Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale che è obbligatorio fornire al momento dell’iscrizione sul sito dell’applicazione.
In fondo, comunque, l’atteggiamento di Giuseppi non è troppo diverso da quello attribuito alla Regina francese Maria Antonietta. Di cui si favoleggia che, durante una rivolta, avrebbe liquidato il volgo affamato dicendo: «S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche». Oggi, mentre il pane continua a scarseggiare, al posto delle brioches ci sono il cashback e il bonus smartphone.
Tracciati e contenti, dunque, come nemmeno nelle più fosche previsioni di stampo orwelliano. Dopotutto, 1984 è già tra noi. È il Grande Fratello di Stato, bellezza.
Politica
Italia (ancora) Viva, lo spettro delle urne e il nuovo penultimatum di Renzi
Conte apre a modifiche sulla governance del Recovery Plan, ma è soprattutto per il rischio di sparire che il senatore fiorentino frena sulla nuova “Congiura de’ Pazzi”. E comunque, virgilianamente, va temuto anche quando porta doni
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23 Dicembre 2020Al culmine di giorni di tensione istituzionale, pare proprio che quella di Matteo Renzi sarà un’Italia (ancora) Viva. Proprio mentre si rincorrevano le voci sulle strategie partitiche in caso di crisi di Governo, infatti, è arrivata la mano tesa del senatore di Rignano. Che magari non chiederà più poltrone ma, quando sente traballare la sua, non si fa problemi a trasformare qualsivoglia diktat nell’ennesimo penultimatum.
Italia (ancora) Viva, dopotutto
«Se si aprisse la crisi, tanto varrebbe andare a votare. Conte contro Salvini e ce la giochiamo». Parole e musica di Dario Franceschini, Ministro dei Beni culturali e capodelegazione del Partito Democratico presso l’esecutivo. Nonché il dirigente dem che più di tutti, secondo i rumours, mira a ripagare il fu Rottamatore con la stessa moneta.
Su-Dario è infatti persuaso che il bi-Premier Giuseppe Conte abbia «ancora una certa presa sull’opinione pubblica». Da questa pia illusione scaturirebbe quindi il progetto che dovrebbe mettere i bastoni fra le ruote gigliate. Quello di un patto Pd-M5S giustificabile con l’attuale legge elettorale, il Rosatellum. Che spinge le formazioni a unirsi – perlomeno nelle circoscrizioni con sistema maggioritario – e che, ironicamente, prende il nome dall’attuale presidente di Iv Ettore Rosato.
Certo, nel MoVimento un simile accordo rischierebbe di innescare la scissione dell’ala dibattistiana. Ma i grillini devono anche farsi bene i propri calcoli, perché una corsa in solitaria li porterebbe verosimilmente a perdere in tutti i collegi uninominali.
In tutto questo, in via del Nazareno sono comunque certi che Renzie stia bluffando, e che tema molto l’eventualità di elezioni anticipate. In effetti, i sondaggi continuano a essere impietosi col suo micro-partito, e la nuova «machiavellica operazione di Palazzo» potrebbe anche avere sviluppi imprevisti. Con una metafora tratta dalla sua amata storia fiorentina, potrebbe anche finire come la Congiura de’ Pazzi, la (fallita) cospirazione anti-medicea dell’omonima famiglia Pazzi.
Forse anche per questo Pittibimbo si è prodotto nell’ennesimo colpo di scena – non del tutto inatteso, in realtà. In fondo, pare proprio che prediliga avere un’Italia (ancora) Viva.
La frenata di Renzi
«Finalmente il Presidente del Consiglio ha preso atto che le proposte avanzate da Iv sul metodo di lavoro sono assolutamente positive. Perché è scomparsa tutta la questione della governance, che si voleva portare con un emendamento in Legge di Bilancio, e finalmente si inizia a discutere con i numeri, nel merito, dei vari progetti».
Così il Ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova al termine del confronto sul Recovery Plan con Giuseppi e i titolari dell’Economia, Roberto Gualtieri, e degli Affari europei, Enzo Amendola. Tavolo durante il quale il Signor Frattanto sembrerebbe aver fatto una parziale retromarcia sulla task force che tanto aveva irritato i renziani. Aprendo a un coordinamento più collegiale che dovrebbe includere un Ministro per ogni forza politica.
Certo, è presto perché l’esecutivo rosso-giallo possa tirare un sospiro di sollievo. Anche perché non è un segreto che il leader di Italia Viva aspiri a un BisConte dimezzato – un’anatra zoppa indebolita in favore dei leader della maggioranza.
Del resto, il Nostro ci ha tenuto a far sapere urbi et orbi che «la palla adesso è nelle mani del Premier, dipende solo da lui». E la stessa renzianissima ha precisato che «il Governo può stare sereno se risolve i problemi».
Però il dialogo è ripreso, come del resto aveva anticipato Rosato – che solo ventiquattr’ore prima ancora bombardava il fu Avvocato del Popolo. «Qualcosa è cambiato. Il Presidente Conte ha convocato una serie di riunioni che sono cominciate oggi. Mi sembra un fatto positivo».
Possibile, soprattutto considerando il desiderio dell’altro Matteo di conservare la sua Italia (ancora) Viva. Tuttavia, il leguleio volturarese farà bene a ripetersi, parafrasando Virgilio: timeo Renzi et dona ferentem. Che in latino significa, più o meno, stai sereno.
Politica
Dl Natale, meno male che dovevamo passare feste fuori dal… comune!
Mentre in Gran Bretagna è stato isolato un nuovo ceppo del coronavirus, da noi il Premier limita ancora gli spostamenti: con una sorta di Regio Decreto (o meglio, un Decreto del Conte) che in pratica abolisce le festività
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22 Dicembre 2020Test per l’esame di giornalismo sul Dl Natale varato appositamente per abolire la più amata delle feste. Il candidato consideri che:
a) Il bi-Premier Giuseppe Conte ha affermato, bontà sua, che «noi non entriamo nelle case degli Italiani», salvo che «ci sia una flagranza di reato». Insomma, questo sarà l’anno dei Cenoni con delitto.
b) Il Dl Natale, perlomeno nei giorni in cui tutta l’Italia sarà zona rossa, impone forti limiti agli spostamenti, compresi quelli all’interno della propria città. Tanto per smentire chi dice che sarà un Natale fuori dal… comune.
c) Oltretutto, il Decreto, protraendosi fino al 6 gennaio, farà saltare anche il ponte dell’Epifania. Con vivo disappunto del Ministro dei Trasporti Paola De Micheli, che intendeva annoverarlo fra le grandi opere.
d) Inizialmente, sul sito della Gazzetta Ufficiale era stato erroneamente riportato che la normativa sarebbe entrata in vigore tra un anno, il 19 dicembre 2021. Ognuno vi legga ciò che più ritiene opportuno.
Dl Natale & Co.
e) Nel frattempo, in Gran Bretagna è stato isolato un nuovo ceppo del Covid-19 che, come riferito dalle autorità sanitarie locali, «può circolare più velocemente». Comunque per il fu Avvocato del popolo non è un problema, purché abbia l’autocertificazione.
f) Peraltro, Walter Ricciardi, consulente del Ministero della Salute, ha attaccato duramente la perfida Albione. «Gli Inglesi sapevano già da settembre che era in circolazione questa variante del coronavirus. Hanno taciuto per mesi, non ci hanno avvertito». E ora si beccheranno pure un’accusa di plagio dalla Cina.
g) Domenico Arcuri, il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus noto soprattutto per i ritardi epocali su mascherine e banchi a rotelle, ha lanciato l’allarme. «Sarebbe davvero complicato iniziare la più grande campagna di vaccinazione di massa di sempre nel corso della terza ondata». Visti i precedenti, probabilmente la chiama “terza ondata” perché la campagna vaccinale partirà per le vacanze estive.
h) In tutto ciò, il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha assicurato che «non vedo pericoli per il Governo». E niente, questa fa già abbastanza ridere di suo.
i) Intanto il Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha sgrammaticamente confidato che «quest’anno ho scritto una lunga lettera a Babbo Natale il mio sogno è che la pandemia finisca e io possa tornare a stare con i miei studenti e a visitare le scuole». Finalmente abbiamo scoperto chi è la mamma del bambino di 5 anni che aveva scritto via e-mail al Signor Frattanto!
Ciò posto, commenti il candidato se il cognome di Giuseppi si stia lentamente tramutando in titolo da signorotto medievale. Al punto che già il Dl Natale potrebbe configurarsi come Regio Decreto – o meglio, Decreto del Conte.
Cronaca
Piano pandemico, quegli scheletri nell’armadio del Ministro Speranza…
I Pm di Bergamo indagano sulle pressioni dell’Oms per correggere il report che denunciava l’inadeguatezza del dossier governativo, mai aggiornato dal 2006. E FdI pretende di vedere il documento di cui l’esecutivo nega ancora l’esistenza
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19 Dicembre 2020Un piano pandemico non aggiornato da anni e, pertanto, inadeguato ad affrontare l’emergenza sanitaria che poi, all’incirca un anno fa, sarebbe effettivamente scoppiata. È ciò su cui sta lavorando la Procura di Bergamo, nell’ambito dell’inchiesta sulla mancata istituzione delle zone rosse ad Alzano e Nembro. Un’indagine che nei mesi scorsi ha già lambito il Governo rosso-giallo, che però potrebbe essere più coinvolto di quanto inizialmente si credesse.
Un piano pandemico obsoleto
C’è un caso che da giorni sta catalizzando l’interesse di due giganti del panorama giornalistico internazionale quali The Guardian e il Financial Times. Un caso le cui radici affondano in terra italiana, ma di cui nel Belpaese non si parla ancora abbastanza. Anche se a portarlo all’attenzione del pubblico nostrano è stata la trasmissione Report.
È il caso del rapporto dell’Oms sul piano pandemico dell’esecutivo, approntato nel 2006 e mai aggiornato – ma solo riconfermato nel 2017. Come ha ammesso anche il viceministro alla Sanità Pierpaolo Sileri, aggiungendo che «qualche spiegazione da questo punto di vista dovrebbe essere data». Soprattutto perché, secondo una perizia chiesta dei Pm orobici, un dossier meno obsoleto avrebbe evitato 10.000 morti.
Invece, «impreparati a una simile marea di pazienti gravemente ammalati, la reazione iniziale degli ospedali fu improvvisata, caotica e creativa». Lo evidenzia(va) il report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, finanziato dal Governo del Kuwait e stilato da undici ricercatori, tra cui l’italiano Francesco Zambon. Report pubblicato sul sito della stessa World Health Organization lo scorso 13 maggio, e provvidenzialmente rimosso il giorno dopo. Ed è qui che la vicenda assume i contorni del giallo.
Una cospirazione tra Oms e Ministero della Salute?
«Uno degli atout di Speranza è stato sempre il poter riferirsi a Oms come consapevole figlia (sic!) di fico per certe decisioni impopolari e criticate […]. Se anche Oms si mette si mette in veste critica non concordata con la sensibilità politica del Ministro […] non credo che facciamo un buon servizio al Paese».
Così scriveva Ranieri Guerra, ex direttore del Dipartimento prevenzione del Ministero della Sanità, attualmente numero due del WHO per l’Europa e membro del Cts. L’e-mail, mostrata da Report, era diretta proprio a Zambon, cui il Nostro ricordava i «10 milioni di contributo volontario sulla fiducia e come segno di riconoscenza» appena elargiti da viale Lungotevere Ripa.
Guerra avrebbe quindi fatto pressioni affinché il ricercatore nel dossier postdatasse il piano pandemico, così da far risultare che fosse stato ammodernato nel dicembre 2016. Arrivando anche ad ammonire sibillinamente il suo sottoposto.
«Come sai, sto per iniziare con il ministro il percorso di riconferma parlamentare (e finanziaria) del centro di Venezia e non vorrei dover subire ritardi o contrattacchi». Il “centro di Venezia”, guarda caso, è il luogo di lavoro di Zambon.
Il quale, nel frattempo, era stato convocato come teste dai magistrati bergamaschi, che per prassi avevano dovuto inoltrare la richiesta all’Oms. L’ente dell’Onu, però, per tre volte non ha avvisato il proprio dipendente, pretendendo che si avvalesse dell’immunità diplomatica. Solo negli ultimi giorni Zambon è finalmente riuscito a presentarsi in Procura.
Guerra, nel frattempo, ha seccamente negato ogni addebito. Troppo tardi, però, per evitare che il prestigioso The Guardian alludesse a una cospirazione tra l’Oms e il Ministero della Salute italiano.
L’altro piano pandemico
A complicare ancora di più il quadro c’è un altro piccolo particolare. Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato, due deputati di FdI, hanno fatto ricorso al Tar del Lazio per costringere viale Lungotevere Ripa a pubblicare l’altro piano pandemico. Quello realizzato, pare, tra febbraio e marzo, e tuttora allo stato di leggenda metropolitana.
Il Governo, infatti, ha sempre smentito l’esistenza stessa di questo documento, anche se i verbali del Comitato tecnico scientifico dicono il contrario. Se ne conosce perfino il titolo: Piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov. A svelare gli altarini era stato Andrea Urbani, Dg della Programmazione sanitaria al Ministero, che parlava di un piano pandemico pronto addirittura dal 20 gennaio.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, però, si tratterebbe di un equivoco. L’unico dossier sarebbe quello redatto da Stefano Merler, epidemiologo della Fondazione Bruno Kessler di Trento, che aveva realizzato la prima proiezione sull’andamento del coronavirus basandosi sui dati cinesi.
Il ricercatore è stato a sua volta audito dagli inquirenti orobici, che ne hanno secretato la deposizione. Il 22 dicembre toccherà invece al dicastero del Ministro nomen omen Roberto Speranza presentarsi davanti ai giudici amministrativi.
Cos’ha da nascondere Speranza?
Intanto, i legali di viale Lungotevere Ripa hanno inviato una memoria difensiva corredata da un “deposito documentale”, nello sforzo di mostrarsi come “parte diligente”. Il file depositato, però, è di nuovo lo studio di Merler, il che ha mandato su tutte le furie gli onorevoli di Fratelli d’Italia.
«Adesso basta. Il Ministero sta prendendo in giro gli Italiani e fa finta di non capire. E anche l’Avvocatura dello Stato risponderà di quello che ha scritto e prodotto. Perché questa volta portiamo tutto alla Procura Penale» ha tuonato Bignami. «Nei prossimi giorni formalizzeremo le denunce penali perché evidentemente è l’unica soluzione che ci lasciano tutti coloro che stanno nascondendo questi documenti. Perché l’alternativa è che non esista alcun piano di contrasto alla pandemia e che quindi gli alti funzionari del Ministero abbiano mentito agli Italiani. Quindi o c’è incompetenza o c’è malafede».
Magari non serve essere così tranchant, però tanta reticenza induce almeno a farsi qualche domanda. Ha davvero qualche scheletro nell’armadio il Ministro della Salute? E, se sì, cos’ha da nascondere? E perché si impegna così tanto per occultarlo?
Attendiamo fiduciosi, nella Speranza che non si… confondano ulteriormente i piani.
Politica
Conte-Renzi, Iv detta le sue condizioni, e ora si guarda al 28 dicembre
Nell’imminenza della verifica di maggioranza, il Rottamatore attacca su Mes, task force e Servizi segreti. Spunta la deadline del voto sulla Legge di Bilancio, e l’ipotesi di un Governo di centrodestra e di “responsabili” fa già discutere
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4 settimane fail
18 Dicembre 2020Nell’estenuante partita a scacchi Conte-Renzi, l’ultima mossa l’ha fatta l’ex Rottamatore. Una lettera rivolta proprio al bi-Premier a poche ore dall’atteso faccia a faccia nell’ambito della prevista verifica di maggioranza. La tensione resta altissima, al punto che i commentatori iniziano a dipingere vari scenari riguardo a un’eventuale crisi di Governo. Ma, alla fine, è più probabile che quello del senatore fiorentino si rivelerà l’ennesimo penultimatum fine a se stesso.
La partita a scacchi Conte-Renzi
Conte-Renzi, nuovo atto. Nell’immediata vigilia del vertice tra il fu Avvocato del popolo e la delegazione di Italia Viva, l’ex Presidente del Consiglio ha messo nero su bianco le proprie richieste. Lo ha fatto con una lunga missiva che pare soprattutto una risposta alle più recenti dichiarazioni del suo successore.
«Un Governo non può andare avanti senza la fiducia di tutte le forze politiche di maggioranza» rifletteva infatti il Signor Frattanto. «Con Renzi ci confronteremo e vedremo se ci sono le condizioni per andare avanti».
Ed ecco le condizioni – tre su tutte: la retromarcia sulla governance del Recovery Plan, l’utilizzo dei finanziamenti del Mes e la rinuncia alla delega sui Servizi segreti. E sono soprattutto i primi due punti quelli che potrebbero infiammare lo scontro – il terzo è più un’ulteriore occasione per questionare sui pieni poteri.
«Noi Ti abbiamo detto in Parlamento che quando un Paese può spendere 209 miliardi di € non si organizzano task force cui dare poteri sostitutivi rispetto al Governo. Non si scambia una sessione del Parlamento con una diretta Facebook. Non si chiede al Consiglio dei Ministri di approvare un documento condiviso all’ultimo momento» il j’accuse gigliato.
Palazzo Chigi, però, aveva già chiarito che «abbiamo bisogno di una struttura, ce lo chiede l’Europa», che en passant è il contrappasso perfetto per gli euroinomani. «Detto questo, chi ha delle soluzioni migliori le porti» la sfida.
Quanto al Fondo salva-Stati, il leader di Iv era stato tranchant. «Questi 36 miliardi sono bloccati con un no ideologico dei Cinque stelle e di Conte: a me sembra una follia. Prendiamo i soldi, mettiamoli sulla sanità e smettiamola con le polemiche». Che, naturalmente, è il modo migliore per rinfocolarle.
Gli scenari
Rebus sic stantibus, non si può escludere nulla a priori. E, forse per questo, una delle parole maggiormente tornate in auge a livello giornalistico è “responsabili”. Categoria simile a un Giano bifronte che assume connotazioni antitetiche a seconda di chi la pronuncia, come se il giudizio sui voltagabbana dipendesse dallo schieramento politico.
Così, per alcuni i responsabili sarebbero coloro che potrebbero prendere il posto di Iv nell’attuale esecutivo (dall’Udc a Cambiamo!). Per altri, sarebbero invece gli stessi esponenti italovivi che, secondo indiscrezioni, potrebbero addirittura appoggiare un eventuale esecutivo di centrodestra. Un’idea che però sta facendo discutere la stessa opposizione.
«Non sarebbe assurdo pensarci» ha ammesso Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, «ma è inutile parlarne se il Governo non è sottoposto ad un voto in Parlamento». In ogni caso, «se c’è una crisi ci rimettiamo alla saggezza del Capo dello Stato. Sarà Mattarella a valutare quale strada imboccare».
Possibilista, in qualche modo, anche il segretario del Carroccio Matteo Salvini. Secondo il quale la soluzione sarebbe «un Governo con pochi punti in programma, un Governo di centrodestra» che traghetti «il Paese alle prossime elezioni». In fondo, dal Governo Conte al Governo-ponte sarebbe un attimo.
Il progetto però incontra la netta contrarietà della presidente di FdI Giorgia Meloni, che ha ricordato come a luglio si entrerà nel semestre bianco. L’ultimo periodo del mandato del Presidente della Repubblica, durante il quale il Colle non può sciogliere le Camere. L’eventuale esecutivo, dunque, giocoforza «durerebbe altri anni», e rischierebbe di avere «idee chiare ma non numeri importanti».
In ogni caso, Fratelli d’Italia ha ribadito di non volersi alleare «con Renzi, Pd o M5S». Aggiungendo che, «se c’è un Governo di centrodestra che trova una maggioranza in Parlamento, mi si dica qual è».
Conte-Renzi, la crisi che non ci sarà
Tutte queste congetture, ça va sans dire, dipendono dagli umori del duo di frenemies Conte-Renzi. Anche perché l’altro Matteo è in buona compagnia nel bombardare il Capo del Governo. L’attacco più duro, probabilmente, è arrivato dal presidente del partito Ettore Rosato, secondo cui «Conte ha abusato dell’emergenza e della fiducia che gli abbiamo dato. È il momento di tornare a un maggior senso di responsabilità». Altrimenti, i Ministri renziani dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, e della Famiglia, Elena Bonetti «hanno già detto entrambe che le loro dimissioni sono un’ipotesi concreta».
La stampa inizia anche a sussurrare una data, quella del 28 dicembre, giorno in cui è previsto l’ultimo voto sulla Legge di Bilancio. E in cui tutti i nodi dovranno essere giunti al pettine.
Eppure, nonostante le rodomontate di Pittibimbo, l’apertura di una crisi resta una possibilità remota. «Trovo sempre molto curiosa la tempistica che vede sempre sovrapporsi le crisi di Governo aperte da Renzi con le nomine» dell’esecutivo, ha ironizzato la Meloni. «Qualcosa mi fa pensare che alla fine troveranno una soluzione».
Idea largamente condivisa perché, malgrado Renzie abbia citato il motto amicus Plato, sed magis amica veritas, più amiche ancora sono le poltrone. E i sondaggi notoriamente indicano che, se qualcosa nella nuova «machiavellica operazione di Palazzo» dovesse andare storto, Italia Viva sarà piuttosto moribonda.
Tutto ciò non implica, comunque, che il leguleio volturarese possa stare sereno – se non proprio in senso renziano. In effetti, proprio pochi giorni fa l’ex sindaco di Firenze ha negato di voler far cadere il BisConte. «Non ci penso neppure» ha chiosato durante un’intervista. Se fossimo in Giuseppi, ora sì che cominceremmo seriamente a preoccuparci.
Politica
Stretta di Natale, il Governo verso lo “sciockdown” dalla Vigilia all’Epifania
La curva epidemiologica è in miglioramento, gli esperti del Cts sono divisi, ma l’Italia dovrebbe comunque diventare interamente zona rossa dal 24 dicembre al 6 gennaio: anche se niente giustifica l’ennesima, schizofrenica giravolta
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4 settimane fail
17 Dicembre 2020Alla fine, non così sorprendentemente, pare proprio che stretta di Natale sarà. Secondo indiscrezioni, infatti, l’ultima giravolta pseudo-clinica dell’esecutivo colorerà di rosso l’intera Penisola dalla Vigilia fino all’Epifania. Questo, almeno, è l’orientamento su cui stanno spingendo i falchi della maggioranza. Che, perseverando nella sconcertante schizofrenia di Governo, dimostrano chiaramente di non essere delle aquile.
Verso la stretta di Natale
«È tempo di scelte rigorose di Governo e Parlamento: solo regole più restrittive durante le festività potranno evitare una terza ondata di contagi». Così ha cinguettato Dario Franceschini, Ministro dem dei Beni culturali, auspicando quella stretta di Natale che dovrebbe rendere zona rossa tutta l’Italia.
Su-Dario è un esponente di quell’ala rigorista che comprende anche i titolari della Salute, il nomen omen Roberto Speranza, e degli Affari regionali, Francesco Boccia. E a cui si oppongono i fautori di una linea morbida che potrebbe prevedere gli arresti domiciliari “solo” nei festivi e prefestivi, oppure una grande zona arancione. Tra questi spicca il bi-Premier Giuseppe Conte, che per parte sua preferirebbe limitarsi a «qualche ritocchino». Idea condivisa da parte del M5S e, soprattutto, da Italia Viva, il micro-partito di Matteo Renzi che ha disertato la riunione con i capidelegazione della maggioranza.
«La posizione di Iv è chiara, ribadita nelle ultime ore anche da Renzi» ha spiegato una nota. «Sulle ulteriori misure da adottare il partito sosterrà lealmente la posizione del Governo, purché si decida tempestivamente e si diano ai cittadini regole chiare».
Ed è proprio questo il problema. Come infatti direbbe il grande Ennio Flaiano, vi sono “poche idee, ma confuse”.
Le perplessità degli esperti
«A questo punto sono confuso. Avevamo deciso di prendere una linea, cioè di basarci sui dati dell’Rt e sulla capienza degli ospedali, e invece mi accorgo da 72 ore, cioè da quando in Germania hanno deciso di chiudere tutto, che il nostro approccio non va bene». Così l’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, aggiungendo che «la cosa peggiore è l’incoerenza».
Ancora peggio, in realtà, è forse la brevimiranza, questo “virus” che pare aver contagiato l’intero esecutivo rosso-giallo inducendolo a seguire unicamente una strategia dell’hic et nunc. Il cui zenit – o meglio, nadir – sarebbe proprio la pedissequa imitazione del modello tedesco.
Palazzo Chigi dimentica, però, che Berlino può permettersi il lockdown duro perché indennizza le attività fino al 90%, con ingenti risorse a fondo perduto. Non a caso, su pressione di Iv la mozione di maggioranza in Senato chiede che «si prevedano misure di ristoro proporzionate alle perdite di fatturato».
Bassetti, poi, ha rincarato la dose. «Se diciamo che dobbiamo seguire il metodo tedesco chiudendo tutto, è come se dicessimo che abbiamo fatto cretinate».
Considerazione che riguarderebbe in primis il Comitato tecnico scientifico, che ha invocato la stretta di Natale senza però entrare nel dettaglio dei provvedimenti. Anzi, spaccandosi, con alcuni componenti che inizialmente avevano rifiutato di firmare il verbale in quanto non aderente «alle proprie posizioni».
Peraltro, stante l’attuale italico viraggio al giallo il Cts non ci fa una gran figura in nessun caso. O, infatti, si è trattato di un mero atto politico che prescindeva dalla curva epidemiologica e dal parere degli scienziati. Oppure questi ultimi hanno clamorosamente fallito nel leggere e interpretare i famigerati 21 parametri introdotti proprio per cambiare il significato del nostro tricolore. E, se sono disorientati gli esperti, figuriamoci l’opinione pubblica.
La stretta di Natale è ingiustificata
Anche perché i dati parlano chiaro, e mostrano come la stretta di Natale, seppur improntata al “meglio prevenire che curare”, attualmente appare ingiustificata. Si pensi al rapporto positivi/tamponi, che qualche giorno fa aveva causato un rigurgito di allarmismo perché era salito all’11,6%. Passato il weekend, dove la crescita – come abbiamo argomentato – è fisiologica, è sceso dapprima al 9,1% e ora all’8,8%.
Anche il dato sui decessi, poi, va preso con le molle, come evidenzia il caso del 14-15 dicembre. Quando sono stati segnalati 846 morti perché in Veneto hanno contabilizzato tutti insieme anche quelli dei giorni precedenti.
Ora, se ragionassimo come Giuseppi e i suoi fratelli, potremmo anche trarne una conclusione provocatoria. Invece preferiamo far nostra l’esortazione del Ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova. Secondo la quale si può optare per disposizioni «anche più restrittive di quelle attuali, se necessario, ma comprensibili».
Come non sarebbe, verosimilmente, un nuovo confinamento che saprebbe più che altro di sciockdown. E la dizione adoperata è tutto, tranne che casuale.
Politica
Natale in rosso, il Governo prepara un’altra (inutile) stretta per le feste
Malgrado l’Rt sotto controllo e il rate positivi/tamponi che aumenta fisiologicamente solo nel weekend, Conte vuole l’Italia zona rossa il 25, 26 dicembre e 1° gennaio. E i negozi chiusi, anche se è l’esecutivo che ha permesso lo shopping
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4 settimane fail
15 Dicembre 2020Per le prossime festività, è in arrivo un Natale in rosso. Sembra il titolo di un film, magari uno di quei cinepanettoni tipici del periodo. Invece è l’ultima trovata di un esecutivo che, più che operare per ridurre i numeri della pandemia, sembra sfruttare tali numeri per giustificare il proprio operato. Un operato, peraltro, sconcertante, come ha evidenziato anche Italia Viva: il micro-partito renziano che, da tempo, si comporta stabilmente alla stregua di un’opposizione interna.
Un Natale in rosso
«È importante che vi sia consapevolezza da parte di tutti che la situazione è ancora molto seria». Così il Ministro nomen omen della Salute Roberto Speranza ha commentato la linea dura che prospetta un Natale in rosso – o al più arancione. Nel senso del colore che il Governo rosso-giallo vorrebbe imporre all’Italia intera nei giorni del 25, 26 dicembre e 1° gennaio. Con una deroga solo per i piccoli Comuni, quelli sotto i 5.000 abitanti, per cui si valuta la possibilità di spostamenti entro un raggio di 30 chilometri.
Per il resto si adotterà il “modello Merkel”, nel senso della cancelliera tedesca Angela che, vista la «crescita esponenziale» dei contagi, ha optato per il lockdown. A Berlino in realtà stanno messi peggio che a Roma, come dimostra per esempio l’indice Rt – quello che misura la trasmissione del virus. Che nel Belpaese è pari a 0,82, contro l’1,3 registrato in Germania.
Ciononostante, nei giorni festivi e prefestivi si procederà anche da noi a un inasprimento delle restrizioni. Con la chiusura di bar, ristoranti, gelaterie, pasticcerie e di tutti i negozi a eccezione di farmacie, tabaccai ed edicole.
Colpa degli assembramenti verificatisi in varie città nello scorso weekend, nonché dell’aumento del tasso di positività, passato in un giorno dal 10,1% all’11,7%. Il problema è che, in nessuno dei due casi, Palazzo Chigi ce la racconta giusta.
Quello che il Governo non dice
«I siti sono pieni dei centri con insopportabili assembramenti di persone». Così parlò Domenico Arcuri, Commissario straordinario per l’emergenza coronavirus. Usando curiosamente lo stesso aggettivo che molti associano ai suoi ritardi in relazione alle mascherine e (in misura minore) ai banchi a rotelle.
La palma d’oro dell’ipocrisia spetta comunque a Francesco Boccia, Ministro per gli Affari regionali, secondo cui «le foto degli assembramenti mostrano scene ingiustificabili, irrazionali, irresponsabili». Si era però dimenticato un minuscolo particolare. È stato l’esecutivo di cui fa parte ad autorizzare lo shopping, oltretutto promuovendo un sistema come il cashback che favorisce chi fa acquisti in presenza.
Per non parlare del rapporto contagiati/tamponi, visto che i numeri bisogna saperli leggere. Nei giorni feriali, diverse categorie professionali (dagli sportivi alle forze dell’ordine) fanno il test di default, laddove di domenica lo fa solo chi presenta sintomi. È normale, perciò, che la percentuale cresca nel fine settimana, senza che ciò debba procurare allarmi eccessivi.
Lo si puntualizza perché le informazioni non possono essere parziali. Che poi, più o meno, è la stessa posizione espressa dal Ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova.
«Confrontiamoci con la comunità scientifica e decidiamo misure coerenti e comprensibili» ha esortato la renzianissima. «Scegliamone anche più restrittive di quelle attuali, se necessario, ma comprensibili. Perché solo così i cittadini saranno indotti a rispettarle».
La sensazione, infatti, è che gli Italiani non siano più soltanto disorientati dalle scelte schizofreniche calate dall’alto dalla maggioranza, ma inizino a esserne stufi. Ragion per cui, se il bi-Premier Giuseppe Conte pensa davvero a un Natale in rosso (che non contempli la sua identificazione con Santa Claus), sarebbero d’uopo delle vere spiegazioni. Perché la corda della pazienza è tesa da tempo, e presto o tardi potrebbe anche spezzarsi. Chi ha orecchi per intendere…
Politica
Verifica di maggioranza, Conte muove nella partita a scacchi con Renzi
Il leader di Italia Viva attacca ancora, minacciando di far cadere il Governo se Palazzo Chigi non rinuncerà alla cabina di regia sul Recovery Plan. E il Premier lo sfida, affermando che per andare avanti occorre fiducia reciproca
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12 Dicembre 2020E alla fine, verifica di maggioranza sarà. Lo ha comunicato lo stesso bi-Premier Giuseppe Conte da Bruxelles, dove forse sperava di essere al riparo dalle insidie italiche – o meglio, italovive. Auspicio vano, perché in contemporanea con gli impegni europei il suo predecessore Matteo Renzi continuava a gettare benzina sul fuoco delle polemiche. E allora, ecco l’annuncio che sa molto di sfida.
«Ci sono delle istanze critiche» la presa d’atto del fu Avvocato del popolo. «Ci confronteremo con Italia Viva e con le altre forze di maggioranza. Per andare avanti abbiamo bisogno di massima coesione e fiducia reciproca perché le sfide sono troppo complesse per poterle affrontare con modalità diverse».
Conte vs. Renzi
Giuseppi si riferiva in particolare al programma Next Generation Eu, su cui il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo «che si può definire storico». Il finanziamento da 209 miliardi deve però passare necessariamente per il Recovery Plan, la cui governance rappresenta il vero casus belli del periodo.
«Se Conte vuole pieni poteri come Salvini, io dico no» il j’accuse dell’altro Matteo, affidato allo spagnolo El País. «Non si può accettare che, in nome dell’emergenza, 10 mesi dopo il suo inizio si arroghi tutti i poteri dello Stato per spendere questi 200 miliardi».
L’ex Rottamatore ce l’aveva con la famigerata cabina di regia in formato piramidale. Con al vertice il triumvirato composto dallo stesso Signor Frattanto assieme ai Ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. A scendere, i sei manager che dovrebbero occuparsi ognuno di un diverso ambito di intervento nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Infine, i trecento tecnici che dovrebbero comporre la task force vera e propria.
«Quello che va chiarito è che questa struttura non vuole e direi non può esautorare i soggetti attuatori dei singoli progetti, che saranno amministrazioni centrali e periferiche». Questa la precisazione del Primo Ministro.
Il leader di Iv, però, da questo orecchio sembra non sentirci. «Deve fermarsi e chiedere scusa» l’affondo durissimo. Che si è fatto ultimatum alla domanda «è pronto a far cadere il Governo se Conte non farà marcia indietro?». Risposta tranchant: «Sì, perché questo non è un problema di posti, che pure mi hanno offerto».
E ancora, «ci sono i numeri per eleggere un nuovo esecutivo. Prima di arrivare a questo, mi piacerebbe che il Presidente del Consiglio recuperi la tranquillità e venga in Parlamento per cambiare tutto». Facile a dirsi, molto meno a farsi.
La verifica di maggioranza, o il rendiConte
«A questo punto davvero sarebbe meglio andare a votare». Pare si sia sfogato così il leguleio volturarese dopo la filippica – o meglio, la giuseppica – del senatore fiorentino a Palazzo Madama.
In effetti, secondo i rumours il Capo dello Stato Sergio Mattarella sarebbe incline, in caso di crisi, a sciogliere le Camere e indire elezioni anticipate. Renzi, però, è convinto che prima il Quirinale tenterebbe di «verificare se c’è una maggioranza» alternativa.
È su questo punto che il muro contro muro si trasforma in una partita a scacchi. Perché, se i sondaggi sono fededegni, dopo la prossima tornata elettorale Italia Viva sarà morta – o almeno moribonda. Cosa che a Palazzo Chigi sanno benissimo.
Per questo motivo Conte Fabio Massimo il Temporeggiatore, per una volta, ha rotto gli indugi chiamando la verifica di maggioranza. Così che l’eventuale bluff, come i proverbiali nodi, venga al pettine.
Qui, infatti, sul rendiConte, si parrà la nobilitate renziana. Se la sua non è una rodomontata, Sansone morirà con tutti i Filistei. Viceversa, anziché il suo idolo Machiavelli il Nostro emulerà gli esecrati grillini, salvando la poltrona anziché la faccia.
In tutti i casi, il Capo del Governo può stare sereno. In quale senso – se in quello classico o in quello gigliato -, lo scopriremo solo vivendo.
Mondo
America 2020, il ricorso del Texas alla Corte Suprema censurato dai media
Negli Usa instradato il procedimento che potrebbe ribaltare l’esito (presunto) del voto, nel silenzio del “quarto potere”. E, se gli organi di informazione non informano, c’è un enorme problema a livello di libertà
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11 Dicembre 2020Houston, abbiamo un problema, come dimostra – una volta di più – il caso America 2020. Vale a dire le Presidenziali che i media mainstream hanno già archiviato assegnando la vittoria al candidato democratico Joe Biden. E ignorando totalmente le accuse di brogli elettorali lanciate dal Presidente uscente Donald Trump.
America 2020, si diceva, evidenza che abbiamo un problema, più precisamente un problema di libertà. Ma non nel senso che si potrebbe pensare.
Qualche giorno fa, infatti, il Procuratore Generale del Texas Ken Paxton ha fatto causa a Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin per «cambiamenti incostituzionali alle leggi elettorali». Una notizia significativa, perché si tratta di quattro Stati chiave, la cui assegnazione – estremamente controversa – a Sleepy Joe avrebbe determinato (il condizionale è d’obbligo) l’esito dell’elezione.
Ancor più rilevante è il fatto che la Corte Suprema statunitense abbia accettato di calendarizzare immediatamente il procedimento. Al quale si sono uniti Missouri, Arkansas, Louisiana, Mississippi, South Carolina e Utah, che hanno presentato a loro volta una mozione contro i swing States. Ma sono ben 17, in tutto, gli Stati che hanno appoggiato quello della Stella Solitaria nell’azione legale «contro la più grande frode elettorale nella storia degli Stati Uniti». Questo il cinguettio di The Donald, subito “corretto” dai moderni Torquemada di Twitter. Ed è qui che scoppia il disagio.
America 2020, abbiamo un problema di libertà
Se per caso non avevate sentito nulla a proposito di questi sviluppi giuridici, non preoccupatevi: non è colpa vostra, bensì dei “custodi dell’informazione”. Dei paladini di un pluralismo a senso unico che ignorano – quando non censurano direttamente – tutto ciò che si discosta dalla loro narrazione politically correct.
Quelli che si sono affrettati a far sapere che la stessa Corte Suprema Usa aveva respinto il ricorso dei Repubblicani contro il voto postale in Pennsylvania. Quelli che non si sono scandalizzati – anzi – quando YouTube ha annunciato di voler rimuovere i video che fanno riferimento alle scorrettezze denunciate durante America 2020. Ma che, su un piccolo e insignificante dettaglio che potrebbe anche ribaltare la corsa alla Casa Bianca, hanno optato per un silenzio assordante.
Non che, intendiamoci, la genuflessione del “quarto potere” al pensiero unico sia una novità. Il problema vero è che in tanti – troppi – non lo ritengono un problema. Ahinoi.