Milano, 11 luglio 2017 - 14:08

Debora Roversi, ex moglie di Pirlo: «Mi sono annullata per lui. Assegno di divorzio da 53 mila euro? Falso»

La lettera a Vanity Fair: «La sentenza della Cassazione deve riflettere sulla situazione di mogli che hanno donato completamente la propria esistenza: per loro un semplice assegno “assistenziale” sarebbe non solo ingiusto ma anche offensivo».

Andrea Pirlo e Debora Roversi nel 2011 (Ansa) Andrea Pirlo e Debora Roversi nel 2011 (Ansa)
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Una lettera, per provare a raccontare la sua verità. Debora Roversi, la ex moglie del campione del mondo Andrea Pirlo, l’ha inviata al settimanale Vanity Fair, nel tentativo di fare chiarezza sui dati emersi nelle scorse settimane su molti giornali. Il 10 maggio scorso, infatti,la corte di Cassazione ha rivoluzionato la disciplina degli assegni di mantenimento in caso di divorzio: il nuovo criterio cui fare riferimento non è più quello del tenore di vita mantenuto nel corso della vita coniugale, ma quello dell’autosufficienza economica. In molti, allora, hanno ricordato il divorzio del 2014 tra Pirlo e Roversi, sua moglie per 13 anni, parlando di un assegno — versato dall’ex campione di Juve e Milan all’ex moglie — da 53 mila euro al mese.

«Ingiusti malintesi»

«Sulla mia vicenda personale, diventata come era inevitabile anche una vicenda mediatica, ho ritenuto a ragione di mantenere la massima riservatezza», ha scritto Roversi al settimanale, precisando che però, visto il diffondersi di notizie su di lei, ha ritenuto di intervenire per evitare che «nel mio silenzio venissero coltivati ingiusti malintesi, volontari o meno». L’assegno, precisa Roversi, non è quello divorzile, «ma quello che la legge stabilisce nella separazione de coniugi». Non solo: «L’importo è inferiore di quasi due terzi» rispetto a quello indicato, una volta dedotto «l’assegno di mantenimento dei figli e le imposte».

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Pirlo in tribunale per la separazione

Sedicenni

Roversi ricorda poi l’origine della storia d’amore che l’ha legato a Pirlo («eravamo entrambi sedicenni, Andrea giocava da poco nel Brescia ed entrambi non sapevamo che sarebbe diventato un campione»); una storia nella quale, per amore, ha «rinunciato a se stessa»: «È difficile raccontare l’abnegazione, la rinuncia e l’annullamento di me stessa al fianco di un Campione. Un senso di responsabilità continuo, a volte anche ansioso e preoccupato vissuto dentro senza dirlo, che ha permeato l’intera mia esistenza al suo fianco soltanto per lui e per la sua storia che prendeva forma. Nessuna interferenza, nessun condizionamento; approvazione e sostegno continui anche quando avrei voluto esplodere per affermare me stessa».

La Cassazione

«Non ho mai pensato di sfruttare la situazione», spiega Roversi: «Ecco perché la sentenza, a cui è stato riservato molto clamore, non può riguardare le donne che hanno sacrificato interamente la propria vita per il proprio uomo, rinunciando ai propri studi o al proprio lavoro e alla propria realizzazione personale. La sentenza della Corte di Cassazione deve far riflettere sulla situazione di mogli che hanno donato completamente la propria esistenza, per le quali un semplice assegno “assistenziale” sarebbe non solo ingiusto ma anche offensivo. Non ho il compito e la competenza di leggere le norme; non mi sfugge tuttavia di comprendere che quando una donna ha contribuito alla ricchezza del marito perdendo le chances per la propria autorealizzazione, al momento della cessazione del matrimonio, a maggior ragione quando avviene per cause a lei non attribuibili (come nel mio caso), non sarà sufficiente un mero assegno “assistenziale” sarà necessario invece considerare anche il diritto ad un risarcimento per la propria vita donata per amore ed anche un compenso proporzionato al proprio contributo come avviene in una vera e propria impresa familiare. Il dono della propria vita non sarà mai ripagato, ma almeno sarà impedito l’oblio a cui si vorrebbe destinare la vita altrui, spesa con amore e poi abbandonata».

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