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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2015 alle ore 07:31.
L'ultima modifica è del 05 ottobre 2015 alle ore 07:41.

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Shinzo Abe (Afp)Shinzo Abe (Afp)

TOKYO - Aiutiamoli sì, ma senza accoglierli da noi. La filosofia del governo giapponese sulla questione dei rifugiati combina generosità sul piano finanziario a somiglianze con un approccio di sapore “leghista”, per il quale il premier Shinzo Abe è stato criticato in patria e all'estero. Formalmente, Abe si mostra pronto a erogare ampi finanziamenti per alleviare le sofferenze dei rifugiati e affrontare i loro problemi, anche non solo nell'immediato.

Alla recente assemblea delle Nazioni Unite, martedì scorso, il primo ministro ha promesso 810 milioni di dollari in aiuti di emergenza per i rifugiati di Siria e Irak, più 2,5 milioni di dollari a Serbia e Macedonia per far fronte ai flussi (e 2 milioni extra al Libano). Altri 750 milioni di dollari andranno al finanziamento di piani di “stabilizzazione” nella regione, compresa la ricostruzione di infrastrutture di base come quelle idriche. Tokyo, inoltre, è il secondo maggior donatore per l'Agenzia Onu per i rifugiati (Uhncr), con 181,6 milioni di dollari nel 2014.

No all'accoglienza diretta. Senonché l'anno scorso il Giappone ha accolto solo 11 richieste di asilo, su un totale di oltre 5mila richieste. Solo tre siriani (di una sola famiglia) hanno ottenuto la possibilita' di risiedere legalmente nel Paese, su 63 richieste. Un atteggiamento diverso da quello di altri Paesi extraeuropei, come l'Australia che ha dichiarato la disponibilità a accogliere 5.600 siriani,e la Nuova Zelanda (850). Dall'inizio degli anni '80, quando firmò la relativa convenzione internazionale, Tokyo ha dato asilo solo a circa 600 persone. A una domanda in conferenza stampa a New York, Abe ha evidenziato che la porta resta chiusa, in quanto il Giappone deve mettere ordine in casa propria prima di aprire le braccia ad altri.“In quanto questione demografica, ci sono molte cose che dobbiamo fare prima di aggettare immigrati. Come promuovere il lavoro di donne e anziani e alzare il tasso di natalita'”. Il ruolo primario del Giappone, ha aggiunto, sta nel cercare di fare in modo che si limitino le condizioni che finiscono per generare rifugiati. Nella crisi, insomma, Tokyo vede la sua responsabilita' soprattutto in direzione di un miglioramento delle situazioni che provocano l'esodo di massa. Nessun sentimentalismo verso una questione che inquadra strettamente in una politica immigratoria, che non è pronta a modificare nonostante il calo della popolazione e l'aumento del numero di abitazioni deserte.

Le critiche. Già alcune settimane fa aveva fatto sentire la sua autorevole voce, Sadako Ogata, ex High Commissioner Onu per i rifugiati, in un’intervista all'Asahi Shimbun in cui aveva sottolineato che la politica di cosiddetto “pacifismo pro-attivo” di Abe dovrebbe includere l'accettazione di un maggior numero di rifugiati (e non solo, dunque, una estensione delle possibilità di intervento all'estero delle Forze di Autodifesa, come delineato dalle nuove controverse leggi sulla sicurezza).

Appena prima del suo discorso all'Onu, Abe aveva ricevuto una lettera aperta firmata da 14 organizzazioni della società civile giapponese (da Amnesty International alla Caritas Japan), che gli chiedeva di impegnarsi anche per un’accoglienza diretta dei rifugiati siriani. Messaggio non raccolto.

Shogo Watanabe, avvocato di Japan Lawyers Network for Refugee, sottolinea che uno dei problemi sta nei rigidissimi criteri sia formali sia sostanziali che il ministero della Giustizia adotta per l'eventuale riconoscimento: non basta esser scappati da una zona di guerra e “l'onere della prova di subire una specifica persecuzione in patria sta a carico del richiedente”. A suo parere, migliaia o decine di migliaia di rifugiati potrebbero trovare asilo in un Giappone, che dimostrerebbe così al mondo di fare sul serio nell'aiutare concretamente chi ne ha bisogno.

La presidente di Association for Aid and Relief (Aar Japan), Yukie Osa, non si spinge a ipotizzare numeri di rilievo ma sottolinea: “Il Giappone può e deve fare di più dal punto di vista umanitario. Ad esempio, accettando decine di rifugiati che abbiano necessità di cure mediche speciali e di riabilitazione”. Un'altra idea è quella di espandere programmi-pilota di carattere speciale, come quello che ha portato in Giappone qualche centinaio di rifugiati di Myanmar provenienti dalla Thailandia.

Anche i manga in campo. Le polemiche sono sbarcate sui social media dopo la comparsa su un sito Facebook di illustrazioni che ritraggono una presunta rifugiata dalla Siria in un contesto accusato di razzismo e diffamazione di un'intera categoria di persone: la ragazza dice che vuole fare la bella vita a spese degli altri. Una petizione online sul forum Change.org ha chiesto la rimozione di questo controverso fumetto attribuito al disegnatore di sentimenti assai conservatori Toshiko Hasumi. Al di là dell'esistenza di frange ostili all'immigrazione che si innescano su un più diffuso atteggiamento di cautela e timore, resta la circostanza che il Giappone intende essere il Paese più ospitale al mondo, secondo le superiori forme di ospitalità che chiama “omotenashi”. Ma solo per i turisti.

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