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Subito dopo l’esplosione Con l’esplosione del reattore di Chernobyl furono liberati isotopi radioattivi per un totale di 11 EBq. Con la stessa quantità di iodio radioattivo si sarebbero potuti realizzare 60 miliardi di esami scintigrafici per la diagnosi di cancro della tiroide. Dalla centrale nucleare fuoriuscirono 50 tonnellate di materiale radioattivo (equivalenti all’esplosione di 10 bombe atomiche) che coinvolsero 5 milioni di persone e 5 mila villaggi. I Paesi principalmente colpiti furono Ucraina, Russia e Bielorussia, per un totale di 200 mila Km2 di territorio contaminato. La “Zona d’esclusione”, dove fu impedito l’accesso, comprendeva 2 mila km2, ma in breve tempo alcuni abitanti tornarono alle loro abitazioni senza averne l’autorizzazione. Le prime persone coinvolte per inalazione e contatto diretto con le polveri della nube radioattiva furono i “liquidatori”, chiamati a cancellare le conseguenze dell’incidente; insieme ad essi gli abitanti delle aree contaminate evacuati e quelli non evacuati. I pompieri di Pripyat, nella prima fase dopo il disastro, furono impegnati a lavare le strade, eliminare le polveri e rimuovere i primi strati del terreno circostante. I “liquidatori” (prevalentemente pompieri, militari, operai, muratori, elettricisti e autisti di mezzi pesanti provenienti dai tre Stati coinvolti) furono 800 mila: da allora per 400 mila di essi la vita è diventata un calvario. 203 uomini furono ricoverati immediatamente e 28 morirono nel giro di poche ore per l’esposizione diretta alle radiazioni.
Le misure di sicurezza adottate per contenere la dispersione delle polveri radioattive (per esempio il lavaggio delle strade) produssero grandi quantità di rifiuti radioattivi e contaminarono i sistemi fognari e il sottosuolo compromettendo la catena alimentare. La liberazione di Iodio fu il fattore più preoccupante nell’immediato. Oggi la contaminazione da Cesio risulta la conseguenza più rilevante, seguita da quella da Stronzio, Plutonio e Americio 241 che, presenti nel terreno, continueranno a contaminare il sottosuolo per migliaia di anni. Secondo il rapporto pubblicato dal Chernobyl Forum nel 2005 “Chernobyl’s Legacy: Health, Environmental and Socio-Economic Impacts” ogni anno si riscontrano tra i 1000 e i 1200 nuovi casi di tumori infantili. In aggiunta a questo dato, circa il 30% dei bambini malati incorrono in casi di recidiva e devono ricorrere, per una seconda volta, a un trattamento farmacologico o ad un intervento chirurgico. Circa 1800 bambini ogni anno richiedono l’utilizzo di sofisticati (e costosi) metodi di diagnosi come analisi di laboratorio, analisi radiologiche, morfologiche e anche moderni metodi di cura: polichemioterapie, trapianto di midollo, operazione chirurgica, radioterapia e terapia intensiva. Tra i 600 e gli 800 bambini ogni anno richiedono un trapianto di midollo: 2/3 di essi hanno bisogno di un donatore esterno. Oltre agli effetti diretti delle radiazioni, le conseguenze dell’incidente di Chernobyl hanno portato alla distruzione delle vite di coloro che furono deportati dalle zone maggiormente colpite dalla nube radioattiva. Molti di loro hanno avuto notevoli difficoltà a riadattarsi alle nuove circostanze e continuano a soffrire di alti livelli di stress, collegato tra l’altro all’alto tasso di disoccupazione che affligge il Paese e alla sensazione di aver perso il controllo sulle proprie vite. Gli effetti psicologici dell’incidente, insieme agli altri effetti, hanno avuto un profondo impatto sul benessere dell’intera popolazione ucraina. Sono stati registrati sintomi di disagio psichico, di depressione, d’ansia ed altri sintomi psichici non spiegabili da un punto di vista medico, compreso il sentimento di essere in cattiva salute. Lo studio parla di “fatalismo paralizzante” e ipotizza che si sia creata negli anni una sorta di “suggestione collettiva” che ha portato la popolazione dell’area a credere che ogni nuova patologia fosse da ricollegarsi all’incidente del 1986. |