16 ottobre 2010

Il caso

Cresce la tensione
Fra Giappone e Cina

L’appuntamento era stato organizzato oggi a Tokyo per ribadire la sovranità sulle Senkaku, le isole contese a sud di Okinawa, ma in breve tempo è diventato un modo per esprimere il sentimento anti-Cina con tanto di sostegno a Liu Xiaobo, il dissidente Nobel per la Pace 2010, di richiesta di svolta sui diritti umani e anche di rivalutazione dello yuan, target principale della guerra valutaria su scala globale. Quasi contestualmente in Cina, sono andate in scena diverse manifestazioni anti-Giappone a Chengdu (provincia del Sichuan) a Xian (Shaanxi) e a Zhengzhou (Henan) con protagonisti diverse migliaia di studenti che, tra l’altro, hanno invitato alla “difesa delle isole Diaoyu” (il nome cinese delle Senkaku) e a “boicottare le merci nipponiche”, intonando l’inno nazionale o slogan del tipo “lunga vita alla Cina”.

Le otto isole disabitate nel mar Cinese orientale, nel controllo di Giappone e rivendicate da Cina e Taiwan, hanno risvegliato un sentimento nazionalista nelle due grandi potenze economiche dell’Estremo Oriente, come conseguenza della crisi diplomatica nata dallo scontro tra un peschereccio cinese e le motovedette nipponiche del 7 settembre scorso, al largo delle acque di Senkaku, ritenute un ricco bacino di risorse naturali. Migliaia di persone hanno dato vita a Tokyo a quella che è considerata la più grande protesta contro Pechino mai fatta negli ultimi decenni, con un numero di persone che in serata non accennava a diminuire e che ha sfiorato le 10mila unità, in base alle stime degli organizzatori. Voluta dai nazionalisti di Ganbare Nippon (“Forza Giappone”), come replica di quella tenuta in tono minore il 2 ottobre scorso, l’evento ha visto in prima fila Toshio Tamogami, ex capo della Sdfa (l’Aeronautica militare), diventato un riferimento per la destra nazionalista dopo un saggio del 2008 in cui ha negato l’aggressione del Sol Levante in Cina durante la Seconda guerra mondiale: una tesi ardita che gli è costato il licenziamento in tronco. «Siamo qui perché il governo giapponese non sta facendo il suo lavoro», ha detto in un breve discorso davanti a oltre 2.000 persone nel centralissimo parco di Aoyama, realizzato su quello che un tempo era un poligono di tiro militare. «Quando il governo non riconosce le nostre posizioni sulle Senkaku mostra segni di assoluta debolezza», ha aggiunto.

Nel primo pomeriggio è partito un ordinatissimo corteo che, attraversando il trafficato distretto di Roppongi, ha raggiunto, sotto la stretta vigilanza di un migliaio di poliziotti, l’ ambasciata cinese, tra slogan (“Senkaku è parte del Giappone” oppure “è l’ora dei diritti civili”), bandiere nipponiche (Hinomaru, il disco rosso) e del Tibet, più altre celesti del “Movimento indipendentista del Turkestan orientale” legato agli uiguri, etnia turcofona e minoranza islamica del nordovest della Cina, in prevalenza nella regione autonoma dello Xinjiang.

Giappone e Cina stanno tentando di organizzare un vertice formale tra i rispettivi leader a fine ottobre, a margine del vertice regionale dell’Asean in programma in Vietnam: Naoto Kan e Wen Jiabao, dopo un mese di gelo diplomatico, si sono visti a Bruxelles al summit dell’Asem, concordando sulla necessità di riprendere e migliorare i legami pur tenendo ferme le rivendicazioni sulla sovranità delle isole Senkaku.

Antonio Fatiguso

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